È errata l’affermazione della inutilizzabilità tout court della scrittura privata prodotta in fotocopia, alla quale va invece riconosciuta efficacia probatoria pari a quella dell’originale, anche alla luce degli altri elementi emersi dall’istruttoria

L’oggetto della contesa è il canone di un contratto di affitto agrario, stipulato tra le parti attraverso una scrittura privata prodotta in giudizio in fotocopia.

Il convenuto, citato per morosità, eccepiva che il prezzo originario fosse stato “manomesso” dal suo locatore; ed infatti, dal documento prodotto in giudizio risultava che alla voce “canone” fosse stata fatta un’aggiunta successiva, a penna.

Peraltro, l’attore aveva prodotto in giudizio non il documento originale recante il contratto di affitto con il maggior canone, ma soltanto una fotocopia.

Ebbene, secondo il ricorrente, quest’ultimo non avrebbe potuto, perciò, avvalersi della prova documentale rappresentata da quella “scrittura”, potendo al più fornire la prova del suo contenuto con altri mezzi di prova ordinari, nei limiti della loro ammissibilità.

Ciò detto, però, egli non aveva proceduto espressamente a contestare quella scrittura privata (non aveva negato infatti di aver sottoscritto quel documento) essendosi limitato, piuttosto, a sostenere che quella da lui firmata non recava l’indicazione del canone che, quindi sarebbe stato aggiunto successivamente.

Ebbene, è proprio questo il punto della questione.

La Cassazione ha chiarito che – atteso che il soggetto interessato non aveva contestato espressamente la conformità della fotocopia all’originale, vale il principio generale previsto dall’art. 2719 c.c. secondo cui, le copie fotografiche delle scritture che non sia espressamente disconosciute hanno la stessa efficacia di quelle autentiche.

Non risulta neppure pertinente – a detta dei giudici di legittimità- il richiamo operato dalla corte territoriale alla sentenza n. 19987/2011, secondo cui, a fronte della contestazione della “autenticità di una scrittura privata esibita in fotocopia in giudizio e di cui si eccepisce la contraffazione, la parte che intenda valersene deve produrre il documento originale, o indicare le ragioni per cui non ne sia più in possesso, in modo da consentire alla controparte di valutare la reale natura della contraffazione e semmai proporre la querela di falso, il cui giudizio di accertamento deve necessariamente svolgersi sull’originale.

Non è corretto questo richiamo perché la Cassazione si era pronunciata sul presupposto che vi fosse stata contestazione della conformità della copia prodotta all’originale, diversamente da quanto accaduto nel caso di specie.

Conclude pertanto la Suprema Corte che è sbagliata l’affermazione della inutilizzabilità tout court della scrittura in questione, alla quale va invece riconosciuta efficacia probatoria pari a quella dell’originale, salvo la necessità di valutare – a fronte delle due scritture recanti l’indicazione di canoni diversi – quale sia stata l’effettiva volontà delle parti, anche alla luce degli altri elementi emersi dall’istruttoria (Cass. sent. n. 32219/2018).

 

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