La circostanza che il padre sia disoccupato non lo esonera dall’adempiere ai propri doveri di mantenimento delle figlie ancorché maggiorenni, ma non economicamente autosufficienti

Con ricorso presentato al Tribunale di Cosenza, una donna aveva chiesto la la separazione personale dal coniuge, padre delle sue due figlie ormai maggiorenni (rispettivamente di 26 e 24 anni). A sostegno della proprio azione, la donna aveva dedotto che fin dai primi anni del matrimonio la convivenza col marito era stata problematica, fino a diventare intollerabile a causa dei suoi comportamenti prevaricatori, intimidatori e violenti. Nello specifico rappresentava che il marito era solito fare uso di sostanze alcoliche che di frequente generavano uno stato di ubriachezza; perciò egli era spesso aggressivo, anche in presenza dei figli e manifestava disinteresse verso la famiglia. Tale condizione aveva comportato, tra l’altro, il ritiro del permesso di guida in Germania, luogo in cui lo stesso aveva svolto attività lavorativa, nonché la perdita del posto di lavoro.

Rappresentava inoltre che costui aveva intrapreso una relazione extraconiugale con un’altra donna, determinando l’irrimediabile rottura del loro rapporto, già compromesso dalle condotte descritte.

La donna chiedeva, pertanto, l’addebito della separazione, un assegno di mantenimento in favore suo e delle figlie e il risarcimento dei danni morali subiti.

L’adito Tribunale di Cosenza (sentenza n. 77/2020) ha accolto la domanda di separazione personale con addebito a carico del marito.

Le risultanze processuali avevano confermato quanto dichiarato dalla ricorrente nell’atto introduttivo del giudizio, ossia che il coniuge “tornava a casa ubriaco e faceva spesso uso di sostanze alcoliche”. Un teste aveva poi riferito dei diversi incidenti avuti a causa dei continui usi di bevande alcoliche e che i datori di lavoro si lamentavano della sua condizione abituale di ubriachezza.

Il giudice calabrese ha perciò ritenuto che il rapporto matrimoniale fosse stato “minato nel tempo [proprio a causa delle] condotte del marito che avevano determinato una condizione di frustrazione generale, tale da integrare la violazione dei doveri di assistenza e di coabitazione che derivano dal codice civile (art. 143, comma 2 c.c.) di per sé ostativi alla prosecuzione della convivenza”. Infondata è stata poi, ritenuta la tesi che la relazione extraconiugale fosse insorta dopo la rottura della convivenza.

Diversamente, non ha trovato accoglimento la domanda di mantenimento proposta dalla ricorrente. Dalle risultanze processuali non era emersa la sussistenza di una situazione di disparità reddituale tra le parti, l’una delle quali – la ricorrente – non svolgeva alcuna attività, mentre l’altra (il marito) non risultava avere un’occupazione stabile.

Quanto alla domanda di mantenimento delle figlie, entrambe conviventi con la madre, era risultato pacifico che le stesse non fossero economicamente autosufficienti.

Ebbene, sul punto è consolidato l’orientamento giurisprudenziale secondo cui il mantenimento del figlio non cessa automaticamente con il raggiungimento della maggiore età di quest’ultimo e che pertanto al figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente deve essere garantito a pieno il soddisfacimento dei doveri genitoriali (Cass. n. 1773/2012). È stato altresì affermato che “il mantenimento del figlio maggiorenne convivente è da escludere quanto quest’ultimo, ancorché allo stato non autosufficiente economicamente, abbia in passato espletato attività lavorativa, così dimostrando il raggiungimento di un’adeguata capacità e determinando la cessazione del corrispondente obbligo di mantenimento da parte del genitore, atteso che non può avere rilievo il successivo abbandono dell’attività lavorativa da parte del figlio, trattandosi di una scelta che, se determina l’effetto di renderlo privo di sostentamento economico, non può far sorgere un obbligo di mantenimento i cui presupposti erano già venuti meno” (Cass. n. 23590/2010).

L’onere della prova

Sul piano dell’onere probatorio, “il semplice raggiungimento della maggiore età non viene ad esonerare il genitore dall’obbligo di contribuire al suo mantenimento, fino a quando il genitore stesso non fornisca la prova che il figlio è divenuto autosufficiente, ovvero che il mancato svolgimento di attività lavorativa sia a quest’ultimo imputabile (Cass. n. 11828/2009).

Nella vicenda in esame, non era stata fornita alcuna prova circa la raggiunta indipendenza economica da parte delle figlie ovvero che tale condizione fosse attribuibile alla scarsa volontà delle stesse. In ragione di ciò, il Tribunale di Cosenza ha stabilito l’obbligo per il padre di contribuire al loro mantenimento.

Come noto, a tal fine, l’art. 316-bis c.c., stabilisce che entrambi i genitori devono adempiere ai loro obblighi nei confronti dei figli in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo.

Nella specie, era emerso che la madre non svolgesse alcuna attività lavorativa e anche il padre fosse attualmente disoccupato, anche se in passato aveva prestato l’attività di cuoco.

Tuttavia, la circostanza della attuale inoccupazione non esonera il padre dal garantire alle due figlie un sostegno economico minimo ed idoneo a garantire l’adempimento dei doveri di crescita connaturali al ruolo di genitore.

Dunque, considerato che lo stesso aveva sempre svolto attività nell’ambito della ristorazione come cuoco e tenuto conto della sua capacità reddituale, il giudice di primo grado ha disposto a suo carico l’obbligo di corrispondere all’ex moglie un assegno mensile di mantenimento di 400 euro per le due figlie.

La redazione giuridica

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