1. Sono trascorsi oramai alcuni anni da quando la Cassazione ha iniziato a mostrarsi propensa ad accordare la tutela risarcitoria del paziente privato, a seguito di un trattamento sanitario erroneo, delle proprie chances di sopravvivenza. A tale risultato la S.C. approda applicando il paradigma interpretativo attraverso il quale usualmente i giudici di legittimità pervengono al ristoro a favore della vittima di un illecito o di un inadempimento il quale abbia provocato la perdita di opportunità favorevoli in ordine al conseguimento di un risultato utile di carattere patrimoniale. Ad un’analisi più puntuale emerge tuttavia, come il modello applicato risulti fondato su regole peculiari.
  1. I punti fondamentali del ragionamento formulato dai giudici di legittimità sono stati scanditi in una sentenza (Cass. 4 marzo 2004, n. 4400) riguardante il caso di un paziente che, accusando forti dolori addominali, veniva ricoverato al pronto soccorso con una diagnosi di globo vescicolare, e decedeva poco meno di tre ore dopo per rottura di aneurisma dell’aorta addominale. Non risultava possibile, in tale ipotesi, dimostrare l’esistenza di un nesso causale tra l’errata diagnosi e il decesso, ma emergeva che il comportamento dei medici aveva aggravato la possibilità del verificarsi di un esito infausto: sicché i giudici di legittimità riconoscono che “il paziente ha perso, per effetto di detto inadempimento, delle chances, che statisticamente aveva, anche tenuto conto della particolare situazione concreta”. La S.C. si rifà allo schema teorico usualmente applicato in materia di perdita di opportunità relative a vantaggi patrimoniali, ricordando che “la chance, o concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene o risultato, non è una mera aspettativa di fatto ma un’entità patrimoniale a sé stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione, onde la sua perdita (…) configura un danno concreto ed attuale”: danno che risulta incarnato dalla perdita di una consistente possibilità di conseguire un risultato utile, e va dunque commisurato non già al vantaggio sperato, ma alla possibilità di conseguire lo stesso. I medesimi principi risultano ribaditi dalla S.C (Cass. 16 ottobre 2007, n. 21619) in una pronuncia ove vengono evidenziate le peculiarità relative all’ipotesi de lesione della chance: quest’ultima ricorre “sul versante della mera possibilità di conseguimento di un diverso risultato terapeutico, da intendersi, rettamente, non come mancato di un risultato soltanto possibile, bensì come sacrificio della possibilità di conseguirlo, inteso tale aspettativa come ‘bene’, come diritto attuale, autonomo e diverso rispetto a quello alla salute”. I giudici di legittimità affermano che “il ragionamento presuntivo non riguarda l’attitudine della chance a provocare l’effetto favorevole che il danneggiato non ha conseguito, bensì l’attitudine della situazione di fatto in senso lato in presenza della quale la chance può essere riconosciuta esistente” (Cass. 19 maggio 2008, n. 23846). In buona sostanza, il danno da risarcire viene configurato quale distruzione di un’opportunità favorevole, vista nei termini di entità patrimoniale giuridicamente ed economicamente valutabile. Al medesimo modello si è fatto riferimento anche di più recente (Cass. 27 marzo 2014, n. 7195), con riguardo al caso di una paziente affetta da patologia tumorale: la donna avendo subito l’asportazione parziale e non già totale delle ovaie, aveva visto compromessa le possibilità, corrispondenti al 41%,  di una sopravvivenza di cinque anni, di cui avrebbe goduto nel caso di intervento corretto.  La Cassazione individua, in capo alla vittima, la ricorrenza della “perdita della possibilità di vedere rallentato il decorso della malattia e quindi aumentata la durata della sopravvivenza”. Una volta accertato che l’errore medico ha influito negativamente sulla possibilità di godere di un periodo (seppur limitato) di sopravvivenza, si afferma che “la perdita di questa chance è comunque, in ipotesi, risarcibile, quale entità a sé giuridicamente ed economicamente valutabile”. Non conta, ai fini della rilevanza risarcitoria, la percentuale di realizzabilità della chance, sulla quale si indagherà esclusivamente ai fini della quantificazione del danno.
  1. L’ipotesi da ultimo illustrata mette in luce come la tutela del paziente venga riconosciuta anche laddove egli risulti affetto da un processo morboso a esito fatalmente letale, per cui il risultato utile – identificato con la sopravvivenza – appare a priori non conseguibile. Non si tratta, del resto, del solo profilo atto a evidenziare una significativa diversità quanto alle regole applicate in questo campo, rispetto a quelle adottate sul terreno patrimoniale: scollamento che appare del tutto giustificato, una volta constatata la difficoltà cui si va incontro nell’assimilare a un risultato atteso di carattere patrimoniale un obiettivo del tutto differente, quale la sopravvivenza di chi si sottopone a un trattamento medico. Il richiamo al modello applicato in campo patrimoniale pone in luce la rilevanza della chance sia sul piano dell’an (ai fini dell’individuazione dell’evento lesivo), che su quello del quantum (per stabilire quale sia il danno da risarcire): ma su entrambi tali versanti emergono – per l’appunto – sostanziali differenze. In particolare, per quanto concerne il bene inciso alla lesione, in campo patrimoniale la giurisprudenza individua la sussistenza di un bene immateriale, configurabile come entità a sé stante (distinta dal risultato sperato), corrispondente a un’utilità economica compresa nel patrimonio del soggetto. Un simile ragionamento non appare scontato per quanto riguarda le chances relative alla sopravvivenza; ciò non solo in quanto non appare agevole ipotizzare per le stesse una veste di carattere patrimoniale, ma per il fatto che a essere messa in discussione appare la stessa idea che tali chances corrispondano, sia pure nei termini di costruzione puramente intellettuale, a un’entità tale da incarnare un bene distinto ed autonomo rispetto alla sopravvivenza in sé considerata. Il distacco dal modello applicato in ambito patrimoniale emerge, altresì, in ordine all’individuazione dei confini entro i quali può assumere rilevanza risarcitoria la lesione della chance: lì la tutela scatta in quanto la possibilità di ottenere il vantaggio sperato assuma una consistenza concreta (di solito legata ad una percentuale superiore al 50%); diversamente, nel campo delle chances di sopravvivenza, non rileva che le opportunità fossero o meno superiori ad un certo livello percentuale, ma soltanto il fatto che il trattamento medico abbia compromesso negativamente tali possibilità. A conferma circa la diversità del modello applicato, interviene la constatazione che il risarcimento risulta accordato anche nelle ipotesi in cui ad essere coinvolto dalla negligenza medica sia un paziente affetto da una malattia destinata ad approdare a un esito mortale ineluttabile. Pur essendo il vantaggio sperato per definizione non conseguibile, la giurisprudenza riconosce come il trattamento negligente sia suscettibile senz’altro di determinare la lesione di chance anche in capo al malato terminale: con la precisazione che, in tal caso, le opportunità di sopravvivenza vengono misurate in relazione a un periodo di vita limitato, quale emerge dalle statistiche correlate a quel certo tipo di patologia.
  1. Alla luce di tali sostanziali differenze, bisogna allora ritenere che il modello applicato in caso di lesione di chances di sopravvivenza risulta del tutto autonomo, e come tale immune dalle criticità legate all’ambito patrimoniale. Per quanto riguarda, in particolare, la rilevanza dell’interesse leso, bisogna constatare che le chances di sopravvivenza non rappresentano un bene a sé stante, riconducibile al patrimonio del soggetto, ma riguardano un’attitudine della persona. Ogni individuo, in quanto essere vivente, è dotato di una determinata capacità di sopravvivenza: capacità la cui conservazione viene garantita dall’ordinamento tramite l’attribuzione de diritto alla vita e che viene ad essere influenzata da una molteplicità di fattori, quali età, sesso, condizioni di vita, ecc. Tra gli elementi rientrano, ovviamente, le condizioni di salute; in particolare la presenza di patologie ad esito potenzialmente letale. In tal caso, la capacità di sopravvivenza  appare condizionata da tale circostanza, ma continua a essere protetta dal diritto alla vita. E’ dunque quest’ultimo a costituire l’interesse da tutelare, a fronte di qualunque comportamento che incida negativamente sull’attitudine alla sopravvivenza. Sul piano del pregiudizio da risarcire, non appare – d’altro canto –  opportuno ricorrere a un’artificiosa differenziazione tra chance e risultato sperato: ad essere incisa è sempre e comunque l’attitudine alla sopravvivenza, che nel caso di lesione della chance appare negativamente condizionata dalla patologia in atto. La compromissione dell’attitudine alla sopravvivenza è un pregiudizio il quale assume carattere non patrimoniale: qualificazione che non desta alcun problema sul piano di un’eventuale restrizione risarcitoria derivante dall’applicazione dell’art. 2059 c.c., una volta rammentato che a venire in gioco è comunque la tutela del diritto alla vita.

Prof. Patrizia Ziviz

(Prof. Associato di Diritto Privato Università di Trieste)

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