Per l’infortunio della bambina nello spogliatoio della piscina in cui si svolgono gli allenamenti non può essere ritenuta responsabile né la ASD di appartenenza né la società gestrice della struttura (Tribunale di Rimini, Sentenza n. 792/2021 del 08/09/2021)

I genitori della danneggiata citano a giudizio l’Associazione Sportiva Dilettantistica al fine di sentirne accertare la responsabilità per l’infortunio nello spogliatoio della piscina occorso alla figlia in data 16.03.2016, con condanna al risarcimento dei danni quantificati in euro 30.368,00 .

Gli attori deducono che la bambina, all’epoca dei fatti di otto anni, svolgeva attività agonistica con l’associazione sportiva dilettantistica presso la piscina Comunale di Rimini.

Il giorno 16.03.2016, la bambina si trovava negli spogliatoi della piscina al termine del corso e, nel tentativo di raggiungere l’asciugacapelli, fisso alla parete ad un’altezza di circa m 1,60/1,80, saliva in piedi su una panca mobile di plastica e alluminio, perdeva l’equilibrio e cadeva a terra riportando un trauma facciale e la rottura dei due denti anteriori permanenti.

Gli attori sostengono che in capo alla ASD vi sia un’obbligazione di vigilare sulla sicurezza e sulla incolumità dell’allievo nel tempo in cui questi fruisce della struttura alla quale si rivolge “, evidenziando altresì che ” l’art. 2048, 3° comma del codice civile prevede una responsabilità aggravata a carico dei docenti in quanto essa si basa su di una colpa presunta ossia sulla presunzione di una “culpa in vigilando”, vincibile solo con la prova liberatoria di non avere potuto impedire il fatto “.

Ed ancora, affermano la responsabilità ai sensi dell’art. 2051c.c. posto che nella piscina in questione “l’asciugacapelli è posto ad un’altezza pari a mt. 160/180 quindi indubbiamente ad un’altezza superiore alla statura di un bambino di 8 anni non flessibile per cui è inevitabile che la panca mobile di acciaio e plastica posta in modo inadeguato sotto l’asciugacapelli possa diventare, come nel caso in esame, un’insidia… “.

Il Tribunale, preliminarmente, evidenzia che l’ambito di operatività dell’art. 2048 c.c. è limitato al solo caso in cui il minore, capace di intendere e di volere, cagioni ad altri un danno ingiusto. L ‘art. 2048, 2° co., non riguarda il caso in cui il minore procuri a sé una lesione, poiché lo stesso testo legislativo prevede la prova liberatoria da opporre al terzo danneggiato e non, invece, al minore che si sia auto cagionato un pregiudizio.

La responsabilità dell’associazione organizzatrice di corsi in discipline sportive per l’ infortunio procuratosi dall’allievo andrà , dunque, inquadrata non nell’ambito di applicazione dell’art. 2048 c.c., bensì in quello della responsabilità contrattuale ex art. 1218 c.c., in virtù dell’iscrizione del minore all’ente.

Nel caso di specie, l’organizzatrice del corso frequentato dalla bambina deve essere individuata nella associazione sportiva presso cui la minore era iscritta, e non nel gestore della piscina.

Rispetto a tale domanda, vi è difetto di legittimazione passiva sollevata in quanto la società convenuta è titolare della concessione stipulata con il Comune di Rimini per la gestione della piscina e ha stipulato con la ASD la Convenzione n. 13 del 03.07.2015 con cui ha concesso a quest’ultima l’uso dell’impianto in determinati giorni e orari.

Tale Convenzione prevede espressamente che “il concessionario esonera il gestore da ogni responsabilità per danno alle persone e alle cose nonché verso i propri istruttori e dipendenti, sia penale, che amministrativa che civile anche di terzi che potessero in qualsiasi modo derivare di quanto forma oggetto del presente atto “.

Trattandosi, dunque, di responsabilità contrattuale, vi è da considerare che il danno non si è verificato quando la minore si trovava sotto la vigilanza degli istruttori, atteso che la caduta è avvenuta all’interno dello spogliatoio, quando la lezione era ormai terminata .

Alle ASD non possono applicarsi gli stessi principi che regolano la responsabilità delle Istituzioni Scolastiche per i danni occorsi agli studenti.

In tale ultimo contesto, infatti, la giurisprudenza afferma costantemente che ” la responsabilità della scuola per le lesioni riportate da un alunno minore all’interno dell’istituto, in conseguenza della condotta colposa del personale scolastico, ricorre anche nel caso in cui il fatto sia avvenuto al di fuori dell’orario delle lezioni, in quanto il dovere di organizzare la vigilanza degli alunni mediante l’adozione, da parte del personale addetto al controllo degli studenti, delle opportune cautele preventive, sussiste sin dal loro ingresso nella scuola e per tutto il tempo”.

Per tale ragione, le associazioni organizzatrici di corsi sportivi sono tenute a garantire la sicurezza dei loro allievi per la durata della lezione, quando sono affidati agli istruttori . Tale dovere , però, non si estende al di fuori dell’orario del corso, quando i minori si trovano negli spogliatoi e negli altri locali accessori dell’impianto sportivo, dove non è presente personale addetto alla loro vigilanza.

In questi momenti, dunque, dei bambini sono tenuti ad occuparsi i genitori o gli altri adulti cui essi siano affidati (familiari, babysitter etc.), sempre che non si tratti di minori capaci di intendere e di volere e sufficientemente maturi per autogestirsi.

Il regolamento della piscina, accettato dai genitori al momento dell’iscrizione al corso, prevedeva espressamente che ” i bambini di età inferiore ai 12 anni dovranno essere accompagnati da persone adulte responsabili del loro comportamento “.

Dalle dichiarazioni rese dalla madre nel procedimento penale è emerso che la stessa era solita aspettare le figlie fuori dalla piscina e che queste ormai si preparavano da sole, dunque gli odierni attori erano ben consapevoli che nello spogliatoio non era presente personale addetto alla vigilanza e all’assistenza dei bambini .

Pertanto, nessun profilo di inadempimento rispetto all’obbligo di vigilanza appare configurabile in capo alla associazione sportiva organizzatrice del corso.

Per quanto riguarda la responsabilità disciplinata dall’art. 2051 c.c. , viene osservato che, secondo un orientamento giurisprudenziale consolidato, ” in tema di responsabilità per danni da cose in custodia, qualora il danno non derivi da un dinamismo interno della “res”, in relazione alla sua struttura o funzionamento, ma presupponga un intervento umano che si unisca al modo d’essere della cosa inerte, il danneggiato può provare il nesso causale tra evento dannoso e bene in custodia unicamente dimostrando l’obiettiva situazione di pericolosità dello stato dei luoghi, tale da rendere probabile, se non inevitabile, il danno stesso “.

Calando tali principi al caso concreto, le cose in custodia sono rappresentate da oggetti inerti: spogliatoio in cui sono collocati una panca mobile in plastica e alluminio e un asciugacapelli fisso al muro, la responsabilità del custode è configurabile solo qualora il danneggiato dimostri l’obiettiva situazione di pericolosità dello stato dei luoghi, tale da rendere altamente probabile, se non inevitabile, il danno stesso.

La situazione di pericolo, sfociata con la caduta della bambina, è sorta con l’ uso anomalo della panca da parte della minore, che se ne è servita non per sedersi o per poggiarci i suoi effetti personali , bensì per salirci sopra.

Non può ritenersi insidiosa la disposizione degli oggetti in questione, in particolare dell’asciugacapelli ad un’altezza di circa 150 -160 cm, e della panca al di sotto di questo.

Il regolamento dell’impianto prevedeva che i minori di dodici anni fossero accompagnati da un adulto e, dunque, verosimilmente l’asciugacapelli era collocato a quella altezza per essere utilizzato da persone di età superiore o, nel caso dei bambini, per essere utilizzato con l’assistenza di un adulto.

Gli asciugacapelli sono apparecchi elettrici che possono notoriamente costituire fonte di pericolo, se utilizzati da un bambino senza la supervisione di un adulto, quindi la loro collocazione ad un’altezza non troppo bassa non può in nessun caso definirsi come insidiosa.

Anche la panca rappresenta un elemento generalmente presente negli spogliatoi di palestre e piscine per consentire alle persone di sedersi , e non necessita di particolari dispositivi di sicurezza .

Ergo, anche sotto il profilo della responsabilità per custodia la domanda degli attori è infondata.

Concludendo, il Tribunale, rigetta le domande di parte attrice; condanna la parte attrice a rifondere alle convenute e alle terze chiamate le spese di lite del complessivamente in euro 5.327,00 per compensi professionali , oltre a spese generali, e accessori.

Avv. Emanuela Foligno

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