Secondo uno rapporto della Fondazione studi Consulenti del lavoro il segmento delle lavoratrici, soprattutto con un figlio minore di 15 anni, sarà quello più in affanno nei prossimi mesi

Nella cosidetta Fase 2 dell’emergenza Coronavirus si acuiscono le difficoltà delle lavoratrici italiane per la doppia gestione ‘lavoro e famiglia’, soprattutto per 3 milioni di donne con almeno un figlio piccolo, ovvero circa il 30% delle occupate totali. In base al nuovo report della Fondazione studi Consulenti del lavoro ‘Mamme e lavoro al tempo dell’emergenza Covid-19’, sarà il segmento più in affanno nei mesi futuri, considerato che lo scenario di riapertura delle scuole, ma anche dei tanti servizi dedicati alla gestione del tempo libero dei giovanissimi, sarà fortemente condizionato dall’emergenza Covid-19.

Le mamme italiane dovranno gestire una quotidianità particolarmente complessa e molte lavoratrici potranno trovarsi di fronte al dilemma se continuare a lavorare oppure no.

Lo studio evidenzia come nei due mesi di sospensioni e lockdown, le donne con figli abbiano lavorato più dei papà. Un fattore collegabile al differente livello di occupazione tra uomini e donne nei settori industriali e nei servizi essenziali, laddove la presenza femminile risulta più bassa nei primi e più alta nei secondi.

Su 100 occupate con almeno un figlio con meno di 15 anni, 74 hanno lavorato ininterrottamente (contro 66 uomini nella stessa condizione); il 12,5% ha ripreso il lavoro dallo scorso 4 maggio, mentre il 13,5% dovrebbe ritornare alla propria attività entro la fine del mese. Ma non tutte potrebbero riuscire a gestire la conciliazione tra lavoro e impegni familiari.

Secondo i consulenti del lavoro, lo smart working ‘riscoperto’ in questo periodo potrebbe essere di aiuto, ma anche qui emerge un paradosso: le figure professionali che hanno più facilmente accesso al lavoro agile sono quelle più qualificate e più retribuite, ovvero coloro che potrebbero permettersi supporti e aiuti. Mentre quelle meno qualificate dovrebbero necessariamente recarsi in sede per lavorare e parallelamente accudire in prima persona i figli con meno di 15 anni: si tratta di 1 milione e 426 mila lavoratrici (il 48,9% delle mamme lavoratrici); di queste circa 710 mila percepiscono uno stipendio netto inferiore ai 1.000 euro.

Gli interventi finalizzati a sostenere la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, come il bonus baby-sitting o i congedi parentali straordinari, possono essere uno strumento utile in fase d’emergenza, ma difficilmente ‘strutturabile’ nel lungo periodo, soprattutto in termini di costi.

Inoltre i dati relativi alla Fase 1, evidenziano che, a fronte di una richiesta molto ampia di congedi straordinari (al 28 aprile risultavano erogate 242.206 prestazioni secondo l’ultima rilevazione Inps), le domande di bonus baby-sitting sono state molto più contenute (pari a 93.729); ciò anche a causa delle difficoltà di reperire in tempi brevi una persona adatta ad accudire i figli.

“Certamente è utile confermare e prorogare con il prossimo decreto gli strumenti di sostegno emergenziali già previsti per le famiglie – dichiara Rosario De Luca, presidente della Fondazione studi consulenti del lavoro – ma al contempo bisogna pensare a strumenti strutturali per rafforzare i servizi di assistenza per la cura dei figli. Solo in questo modo riusciremo a superare il ritardo italiano delle donne a lavoro che rischia, se non colmato in tempi brevi, di lasciare a casa molte lavoratrici mamme. Soprattutto a causa di questa emergenza sanitaria. La conciliazione – conclude – è essenziale per permettere la piena partecipazione delle donne al mondo del lavoro e in tutti i settori produttivi”.

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