Qualora il cliente contesti la parcella, l’avvocato è tenuto a provare non soltanto il conferimento dell’incarico, ma anche la natura e la durata del mandato e l’attività effettivamente svolta

Con atto di citazione un avvocato aveva agito in giudizio dinanzi al Tribunale di Monza contro una s.r.l. chiedendone la condanna al pagamento della somma di 19.500 euro, oltre accessori di legge per prestazioni professionali.

In particolare, il legale aveva riferito di aver seguito, per conto della società, quattro cause avanti al Tribunale di Rimini.

Costituitasi in giudizio, la società aveva chiesto il rigetto della domanda poiché ritenuta non provata sia nell’an che nel quantum.

All’esito del giudizio di primo grado, il Tribunale di Monza respingeva le domande proposte dall’avvocato; e la sentenza veniva confermata in appello.

La corte di merito aveva infatti, rilevato che già nella comparsa di costituzione e risposta di primo grado, la società avesse contestato che l’atto di citazione dell’avvocato fosse generico e che le richieste non fossero provate; pertanto, solo quando l’attore avesse dimostrato l’attività svolta, essa avrebbe provveduto al pagamento di quanto dovuto.

Contro tale pronuncia l’avvocato ha proposto ricorso per cassazione sostenendo che la controparte avrebbe dovuto contestare o il conferimento del mandato (cosa che non aveva fatto), oppure tutte o alcune prestazioni professionali analiticamente indicate nelle note spese; al contrario secondo il legale la contestazione della società era stata generica e pertanto le voci in parcella non avrebbero potuto essere disconosciute dal giudice, essendovi pacifica giurisprudenza (Sezioni Unite n. 14699/2010) secondo cui le voci in parcella, in mancanza di specifica contestazione, non possono essere disconosciute dal Giudice.

Con la citata sentenza le Sezioni Unite della Cassazione hanno affermato che la parcella dell’avvocato costituisce una dichiarazione unilaterale assistita da una presunzione di veridicità, in quanto l’iscrizione all’albo del professionista è una garanzia della sua personalità; pertanto le “poste” o “voci” in essa elencate, in mancanza di specifiche contestazioni del cliente, non possono essere disconosciute dal giudice.

Il principio di diritto

Ebbene, nel caso in esame, la corte territoriale, pur richiamando tale pronuncia aveva ampiamente motivato in ordine alla contraria circostanza che, fin dalla costituzione del giudizio di primo grado la società convenuta avesse specificamente contestato la fondatezza della domanda, eccependo che l’attore avrebbe dovuto adempiere l’onere di provare e determinare le concrete attività svolte, affermando inoltre, che anche nell’atto di impugnazione dell’avvocato, mancassero l’allegazione e la deduzione di specifiche circostanze idonee a rappresentare i fatti costitutivi dei diritti da lui azionati.

Inoltre correttamente, la corte di merito aveva osservato che tali fatti costitutivi, trattandosi di professioni intellettuali, “avrebbero dovuto essere identificati nella prova non soltanto del conferimento dell’incarico, ma anche della dimostrazione della natura stessa dell’incarico, nella indicazione del valore della controversia e della domanda, nella designazione degli elementi caratterizzanti l’eventuale complessità dell’incarico e dell’opera defensionale, nella prova della durata dell’incarico e in quella delle circostanze di tempo e di luogo del compimento delle singole attività stragiudiziali e giudiziali, nella illustrazione, in definitiva, delle diverse attività di difesa scritte e orali e nella allegazione di eventuali spese anticipate dal professionista che il cliente dovrebbe o avrebbe dovuto rimborsare”. Precisando che “tutti questi dati e questi elementi di fatto sarebbero stati indispensabili sia per la prova del fatto costitutivo del diritto al pagamento degli onorari professionali […] sia per la liquidazione dei diritti e degli onorari”.

La decisione

Peraltro, gli stessi criteri dettati dalla tariffa forense ratione temporis applicabili, “conferma[va]no che nella liquidazione dei compensi avrebbe dovuto tenersi conto della natura e del valore della controversia, dell’importanza e del numero delle questioni trattate, del grado della autorità adita, con speciale riguardo all’attività svolta dall’avvocato davanti al giudice, dei risultati del giudizio e dei vantaggi, anche non patrimoniali conseguiti, nonché dell’urgenza richiesta per il compimento di singole attività”; sicché la liquidazione dei compensi avrebbe presupposto la prova, ad onere dell’avvocato a norma dell’art. 2697 c.c., di tutti gli elementi indicati”.

In definitiva, i giudici della Suprema Corte (Seconda Sezione Civile, sentenza n. 6734/2020) hanno confermato la pronuncia della corte territoriale avendo svolto una valutazione delle risultanze istruttorie congrua e plausibile; e come tale, sottratta al sindacato di legittimità.

La redazione giuridica

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