Ai sensi del secondo comma dell’art. 139 del Codice delle Assicurazioni, per danno biologico si intende “la lesione temporanea e permanente all’integrità psicofisica della persona suscettibile di accertamento medico legale che esplica un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamici relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito

Tale norma disciplina il danno biologico per lesioni di lieve entità, cd. “lesioni micropermanenti”.

La legge n. 17 del 24 marzo 2012 ha poi, aggiunto al secondo comma il seguente periodo: “In ogni caso, le lesioni di lieve entità, che non siano suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo, non potranno dar luogo a risarcimento per danno biologico permanente”. È, quindi, previsto che il danno alla persona per lesioni di lieve entità di cui all’articolo 139 cit., sia risarcito solo a seguito di “riscontro medico legale da cui risulti visivamente o strumentalmente accertata l’esistenza della lesione”.

In verità, già prima dell’entrata in vigore della modifica dell’art. 139 cod. Ass., i principi generali sull’onere probatorio, richiedevano l’individuazione di riscontri obiettivi desunti dall’esame di idonea e pertinente documentazione medica, associati all’esame clinico del danneggiato, con conseguente rigetto di quei danni di natura esclusivamente soggettiva, legati ad una sintomatologia dolorosa riferita esclusivamente al soggetto leso e non riscontrabile in una vera e propria patologia.

Con il richiamo al riscontro medico legale, le nuove norme, confermano il modo di individuazione del danno biologico riferito all’accertamento medico legale effettuato visivamente o strumentalmente dal medico secondo le nozioni di comune esperienza della scienza medica e conformi a criteri rigorosi ed obiettivi.

È il caso quest’oggi affrontato dalla Suprema Corte di Cassazione (Corte di Cassazione, III. Sez. Civ., n. 18773 del 26/09/2016) chiamata a pronunciarsi sul ricorso proposto da una donna, vittima di incidente stradale, contro la propria compagnia assicurativa, già citata a comparire dinanzi al Giudice di Pace di Napoli, per vederla condannata al risarcimento di tutti i danni dalla stessa patiti, in conseguenza del sinistro. In particolare la donna richiedeva il ristoro dei danni riportati alla propria autovettura e di quelli fisici riportati sulla propria persona.

Il giudizio di primo grado si concludeva, però, con esito negativo per la ricorrente. Il giudice di pace rigettava infatti, la domanda ritenendo insufficiente – con particolare riferimento alle lesioni personali – la “dimostrazione convincente nei suoi elementi giustificativi” dei fatti oggetto di causa.

Parimenti, il Giudice dell’appello, respingeva il ricorso, in quanto “stante l’applicabilità della norma dettata dall’art. 32, comma 3-quater, del d.l. n. 1/2012,convertito dalla l. 27 del 2012, le affezioni asintomatiche di modesta intensità non suscettibili di apprezzamento obiettivo-clinico … riscontrate all’infortunata non erano state dimostrate con le rigorose modalità prescritte ex lege”.

Tutto il contrario di quanto affermava la difesa della vittima, secondo la quale, le lesioni fisiche lamentate, erano state accertate “visivamente come ritiene la legge” dal “sanitario di guardia al Pronto Soccorso”.

Tale posizione convince i giudici della Corte.

Il riferimento normativo – affermano – è l’art. 32, comma 3-quater, del d.l. 24 gennaio 2012, m. 1, convertito dalla legge 24 marzo 2012, n. 27 già citato.

Ebbene, come precisato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 235 del 2014, la citata norma, avente ad oggetto le modalità di riscontro medico-legale delle lesioni di lieve entità a seguito di sinistro derivante dalla circolazione stradale, va letta in combinato disposto con quella contenuta nel precedente comma 3-ter (modificativa del predetto art. 139 cod. ass.) concernente il danno biologico permanente (e il cui risarcimento non potrà aver luogo ove le lesioni di lieve entità “non siano suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo”).

«Trattasi, di norme volte a stabilire l’esistenza e, eventualmente, la consistenza del danno alla persona e, dunque, ad esse è tenuto il giudice nel momento stesso in cui decide sul punto».

«Invero, il citato comma 3-quater dell’art. 32, cosi come il precedente comma 3-ter – continuano gli Ermellini –, sono, a loro volta, da leggere in correlazione alla necessità (da sempre viva in siffatto specifico ambito risarcitorio), predicata dagli artt. 138 e 139 c.assicurazioni (che, a tal riguardo, hanno recepito quanto già presente del “diritto vivente”), che il danno biologico sia “suscettibile di accertamento medico-legale”, esplicando entrambe le norme (senza differenze sostanziali tra loro) i criteri scientifici di accertamento e valutazione del danno biologico tipici della medicina-legale (ossia il visivo-clinico-strumentale, non gerarchicamente ordinati tra loro, né unitariamente intesi, ma da utilizzarsi secondo le leges artis), siccome conducenti ad una “obiettività” dell’accertamento stesso, che riguardi sia le lesioni, che i relativi postimi (se esistenti) ».

La ratio della legge, in altre parole, non è stata certo quella di non risarcire i danni che, pure di lieve entità, sono “reali”; al contrario, le modifiche vogliono combattere le speculazioni ovvero il risarcimento per danni inesistenti o per danni sovrastimati. E dunque, lo scopo delle disposizioni citate è stato solo quello di negare il risarcimento quando non vi sia una prova idonea, del danno micro permanente che sarebbe risarcibile solo se suscettibile di “accertamento clinico strumentale obiettivo” e non per valutazioni legate esclusivamente al riscontro delle sintomatologie soggettive riferite al danneggiato.

Il problema riguarda in definitiva il livello di prova che il danno alla persona deve avere per essere risarcibile ad una maggiore rigorosità medico-valutativa.

Ad ogni modo, l’ingiustizia del danno alla persona derivante da lesioni di lieve entità non è in discussione, salvo l’apprezzamento valutativo che dovrà necessariamente seguire gli stessi canoni e lo stesso rigore medico legale imposti per la valutazione di qualsiasi altro tipo di danno.

Sicché – conclude la Corte – nel caso di specie, «appare evidente l’errore in diritto commesso dal giudice di merito, il quale aveva ritenuto inattendibile il referto ospedaliero e dunque, prescindendo da tale valutazione, ha escluso la risarcibilità del danno biologico temporaneo in favore della stessa danneggiata nonostante che detto referto medico avesse diagnosticato “contusioni alla spalla, al torace e alla regione cervicale guaribili in 7 giorni”, le quali lesioni, dunque, non potevano essere ritenute, di per sé, “affezioni asintomatiche di modesta intensità non suscettibili di apprezzamento obiettivo clinico” alla stregua dell’art. 32, comma 3-quater, del d.l. n. 1 del 2012».

Avv. Sabrina Caporale

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