Secondo la Procura sono 32, tra medici e infermieri, gli indagati per l’omicidio colposo della paziente morta dopo una colonscopia

Si era recata al Policlinico di Bari per un esame di routine, è morta dopo una colonscopia.
È quanto successo, nell’ottobre 2015, alla 77enne Luciana Stinchi, ennesima probabile vittima di un episodio di malasanità su cui la Procura di Bari ha svolto un’indagine conclusasi con 32 indagati, tra medici e infermieri.
L’episodio risale a due anni fa, quando la donna venne sottoposta a due interventi dopo non essersi risvegliata dalla sedazione per la colonscopia. Secondo la Procura di Bari, i sanitari con la loro condotta avrebbero irrimediabilmente compromesso le sue chances di sopravvivenza.
La donna morta dopo una colonscopia, infatti, venne ricoverata per svolgere questo semplice esame, finendo per morire in ospedale dopo una serie di errori e un atteggiamento inadeguato da parte dei medici e degli infermieri che l’avevano in cura.
Di questo è convinta la Procura che, attivatasi in seguito alla denuncia della famiglia e svolti gli accertamenti medico-legali, ha chiesto, per i 32 medici e infermieri del Policlinico di Bari, la condanna per omicidio colposo.
La signora Luciana Stinchi era arrivata nell’ospedale del capoluogo barese il primo di ottobre per un accertamento diagnostico in colonscopia, ma – secondo il pm Gaetano De Bari – l’esame venne eseguito senza che la paziente avesse espresso il consenso informato.
Dopo l’esame, la signora Stinchi non si è mai più risvegliata dallo stato di sedazione ed è stata intubata. A quel punto, secondo il magistrato, durante un intervento di pneumotorace nel quale sarebbero state lesionate le vie aeree (perforazione esofago-faringea), sarebbero state lesionate le vie aeree richiedendo il ricovero immediato in rianimazione.
La donna venne poi sottoposta ad altri accertamenti oltre che ad un nuovo intervento nei giorni successivi, per poi morire il 19 ottobre nel reparto di chirurgia toracica del Policlinico di Bari. Secondo la Procura, i sanitari avrebbero aspettato troppo nell’eseguire l’ultima operazione, adottando un atteggiamento definito dal magistrato “attendista”, che avrebbe “privato la paziente di qualsivoglia possibilità di sopravvivere”.
 
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