Un uomo è morto a seguito di complicanze insorte nel post operatorio dopo un intervento programmato per l’asportazione della colecisti in laparoscopia.

I fatti

Il paziente alle ore 10.30 del 23/11/2012, veniva ricoverato per un intervento di asportazione della colecisti in laparoscopia, intervento eseguito alle successive ore 11.00 e dopo il quale – alle ore 15.00 – il paziente era stato riportato in reparto con attaccate una flebo e una sacca di drenaggio.
Successivamente, la moglie del paziente segnalava che dal drenaggio fuoriuscivano rivoli di sangue, dando luogo a un’emorragia fermata mediante l’apposizione di due punti di sutura e il tamponamento delle ferite con garze imbevute di Tranex.

Dopo 2 giorni venivano sospese le flebo e la terapia antibiotica e al paziente erano stati somministrati i pasti. Nel contempo, però, l‘addome si presentava gonfio e in alcune parti tumefatto, con una situazione che i Medici avevano attribuito a un ematoma; il pomeriggio dello stesso giorno il paziente accusava sudori freddi, dolore e pallore e in serata l’infermiera di turno inseriva una sonda anale per l’espulsione di aria, riposizionando il paziente nella posizione supina, lo stesso urlava per il dolore dicendo alla moglie che il dolore proveniva dal fianco destro.
Successivamente il Chirurgo sostituiva la sonda anale e apponeva due punti di sutura dopo aver riposizionato il tubo di drenaggio e somministrato tachipirina; i dolori si attenuavano nell’immediato per poi ricomparire dopo circa un’ora unitamente a sudorazione e nausea, con successiva somministrazione di Plasil da parte dell’infermiera.
Il giorno successivo, il Dott. D.M. prescriveva un prelievo ematico, che evidenziava un forte calo dei valori di emoglobina; in serata il medesimo Medico ordinava l’effettuazione di una TAC addominale organizzando nel contempo un intervento d’urgenza poiché il paziente stava perdendo sangue nell’addome; l’intervento era stato eseguito dallo stesso D.M. e da altro Medico.

La vicenda giudiziaria

Nel capo di imputazione viene addebitato all’imputato di avere omesso – nella propria qualità di Medico di guardia interdivisionale – di rappresentare al Chirurgo generale i segni clinici manifestati dal paziente alle ore 4.00 (rappresentati da malessere, sudorazione e pressione arteriosa di 140/80) annotando nella cartella clinica alle ore 7.30 che le condizioni erano stabili oltre all’indicazione di “addome globoso e dolente alla palpazione” e alla necessità di esami di urgenza.
Il GUP, invece, ha ravvisato un profilo di colpa in ordine all’annotazione sulla cartella clinica, alle ore 7.30, delle condizioni del paziente come “stabili”; ha, in particolare, ritenuto che il Medico di guardia avrebbe sottovalutato il dato rappresentato dal calo del valore di emoglobina dal 13,8 delle ore 10.30 al 12,2 delle ore 22.30 dello stesso giorno, elemento che – interpretato alla luce del dolore addominale e del pallore oltre al fatto che il paziente stava assumendo Coumadin – doveva indurre a ipotizzare una anemizzazione; circostanza che, a propria volta, avrebbe dovuto indurre il Medico di guardia a disporre un nuovo emocromo e un esame ecografico dell’addome, con eventuale approfondimento tramite TAC.
La Corte di Appello ha ritenuto che, una volta disposti gli esami ordinati all’inizio del proprio turno di guardia, i relativi esiti avrebbero dovuto indurre il Medico a dedurre la sussistenza di una complicazione postoperatoria, sulla base di una situazione che necessitava di approfondimenti, quali quello ecografico e un ulteriore emocromo (pure richiesto sin dalle ore 23.30; oltre che non corretta, la valutazione di stabilità del paziente operata alle 7.30 del giorno successivo.

La Corte d’appello di Bari, in riforma della sentenza 10/06/2015 del GUP del Tribunale di Bari, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti del Medico per intervenuta prescrizione del reato; ha contestualmente confermato le statuizioni civili contenute nella sentenza di primo grado con le quali il Medico veniva condannato al risarcimento dei danni nei confronti delle costituite parti civili.

Il Medico ricorre in Cassazione

Deduce che la Corte avrebbe ascritto addebiti diversi rispetto e quelli ritualmente contestati, con conseguente violazione del principio di necessaria correlazione tra fatto imputato e fatto ritenuto in sentenza; nullità della perizia e della sentenza di secondo grado.
Secondo il Medico, la perizia disposta nel secondo grado di giudizio era stata affidata a un solo esperto (specializzato in medicina legale) anziché a un collegio di periti.
Afferma, inoltre, che il calo dell’emoglobina doveva ritenersi corrispondente a una perdita di sangue fisiologica e non allarmante a seguito di un intervento di colecistectomia; che la dolorazione e distensione dell’addome erano da considerarsi normali a seguito dell’operazione; che gli esami del sangue non erano stati richiesti in via d’urgenza ma programmati per la mattinata successiva, con la conseguenza che non poteva essere ravvisato un profilo di colpa in ragione della mancanza, alle ore 7.30, dei relativi risultati.
La Corte Suprema non ritiene fondate le censure (Cassazione penale, sez. IV, dep. 07/11/2023, n.44624).

La questione di diritto relativa alle conseguenze processuali della nomina eventuale di un solo Perito nei giudizi aventi a oggetto la responsabilità medica è stata affrontata da Cass. 45719 del 09/11/2022 che ha concluso “la nomina di un solo perito, anziché di un collegio, in violazione della L. 8 marzo 2017, n. 24, art. 15, comma 1, non è causa di nullità dell’elaborato peritale, in quanto non espressamente prevista, né incide sulla sua affidabilità, risultando esso comunque idoneo a offrire al giudice le conoscenze scientifiche necessarie per una compiuta valutazione dei fatti oggetto di giudizio”.
Oltre a ciò, il Medico ricorrente non chiarisce in quale modo le attività svolte dal Consulente siano state di natura valutativa.

Il corretto ragionamento della Corte d’Appello

La Corte di appello ha dato atto della complessiva situazione del paziente e della conseguente sussistenza di profili di colpa in capo al Medico di guardia, tanto dal punto di vista omissivo quanto commissivo.

Specificamente, la Corte territoriale ha dato atto che, in presenza del calo del valore di emoglobina riscontrato all’esito degli esami visionati alle ore 22.30 e in relazione alla sintomatologica clinica rappresentata dalla distensione e dal dolore addominale – associata al fatto che il paziente si trovava in terapia anticoagulante – le relative circostanze di fatto avrebbero dovuto indurre il Medico responsabile a intuire la sussistenza di uno stato di anemizzazione non riconducibile unicamente alla normale evoluzione dell’intervento subito, anche in considerazione del fatto che l’intervento medesimo, non era tale da comportare perdite ematiche significative.
Ergo, il Medico avrebbe dovuto, non solo prescrivere, ma sollecitare l’esecuzione immediata di un ulteriore controllo ematochimico, nonché di ulteriori esami, quali un’ecografia dell’addome ovvero una TAC.

Avv. Emanuela Foligno

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