Interessante intervento della Cassazione sulla prescrizione del danno lungolatente da infezione per HCV (Cassazione civile sez. III, 29/12/2023, n.36548).

Il termine prescrizionale decorre a far data dalla presentazione della domanda amministrativa di indennizzo (vedasi anche per analogia Cass. 24 gennaio 2024, n. 2375).

La vicenda

Veniva chiamato dinanzi al Tribunale di Roma il Ministero della Salute, per la esclusiva responsabilità nella causazione del contagio epatico post-trasfusionale e delle patologie iatrogene e del conseguente decesso.

La paziente era deceduta il 5/08/2004 a causa di un carcinoma epatico originato da epatopatia post-trasfusionale, cui era stata sottoposta nel 1973, evolutasi in cirrosi epatica come risultante dal certificato necroscopico. Nell’ottobre 2017 veniva avanzata alla ASL di Frosinone la domanda di assegno una tantum previsto dalla L. n. 210 del 1992, art. 2, preceduta, in data 22/03/2017, dalla richiesta di risarcimento dei danni e dalla interruzione della prescrizione.

Il Ministero della Salute sollevava l’eccezione di prescrizione del diritto al risarcimento.

Il Tribunale, con la sentenza n. 1611/2020, accoglieva l’eccezione di prescrizione del Ministero e rigettava le domande attoree, ritenendo decorso il termine quinquennale per i danni richiesti iure hereditario ed anche il termine decennale per i danni richiesti iure proprio, ritenendo rilevante a tal fine non già la conoscenza effettiva, ma la conoscibilità antecedentemente al decesso, quantomeno dalla data del ricovero, quando la paziente danneggiata era stata certamente edotta dell’evento patologico in sé.

La decisione della Corte di Appello di Roma

La Corte di Appello di Roma, investita dell’impugnazione della decisione di prime cure, con la sentenza n. 3873/2022, accoglieva parzialmente l’appello relativo alla statuizione di condanna alle spese di lite e confermava per il resto la pronuncia gravata.

Nello specifico, i Giudici di Appello, pur affermando che il termine prescrizionale nei danni lungolatenti decorre non dal momento in cui la malattia si manifesta, ma dal momento in cui detta malattia viene percepita o può essere percepita quale danno ingiusto conseguente al comportamento doloso o colposo di un terzo, ha rilevato che, ai fini della individuazione del momento in cui il danno può essere percepito come conseguenza di un fatto illecito, la presentazione della domanda di indennizzo è indice di sicura conoscenza della causa della malattia, ma “ciò non esclude che il Giudice di merito, con un accertamento in fatto adeguatamente motivato, ben possa dare conto delle ragioni per le quali ha ritenuto, viceversa, che la consapevolezza del collegamento sia da far risalire ad un momento precedente rispetto a quello di presentazione della suindicata domanda amministrativa” (Cass. n. 23635/2015).

Nel caso concreto, la diagnosi di epatite risaliva al gennaio 2004, sette mesi prima del decesso della vittima; ha quindi reputato il collegio d’Appello che (non solo la paziente, ma anche) i congiunti avessero conosciuto o fossero già all’epoca nella condizione di conoscere la causa della patologia della madre, vieppiù considerando che nel 2004 vi era consapevolezza ormai diffusa dei rischi derivanti da contatto con sangue non adeguatamente controllato e in particolare da trasfusioni di sangue o emoderivati infetti.

L’intervento della Cassazione

Secondo i ricorrenti, i Giudici di Appello avrebbero erroneamente ritenuto, in violazione degli artt. 2935 e 2947 c.c., che la paziente e il figlio potessero essere in grado di stabilire una connessione causale tra la patologia diagnosticata nel 2004 (in costanza del primo ed unico ricovero per la cura della epatite) e le emotrasfusioni risalenti al 1973, solo sulla base della comunicazione della diagnosi di epatite.

Secondo la tesi dei ricorrenti, la comunicazione della diagnosi della patologia costituisce solo il punto di partenza, e non anche il punto di arrivo, della complessa fattispecie a formazione progressiva di cui consta l’acquisizione della piena consapevolezza del danno a cui far corrispondere l’esordio della prescrizione.

Altro errore dei Giudici di Appello sarebbe quello di avere attribuito alle conoscenze scientifiche e alla legislazione dell’epoca (2004) un eccessivo valore di presunzione di conoscenza diffusa da parte di tutti i consociati. Quindi, anziché fissare alla data del ricovero del 2004 il momento del decorso della prescrizione, la Corte d’Appello avrebbe dovuto (non già stabilire in astratto se a quella data fosse noto che l’emotrasfusione con sangue infetto potesse provocare l’epatite ma) accertare in concreto se il congiunto della paziente, con la diligenza dell’uomo medio, poteva intuire l’esistenza di un nesso causale tra le trasfusione del 1973 (semmai ne ricordava la somministrazione) e la diagnosi di epatite cronica, avvenuta nel 2004.  

La Suprema Corte evidenzia, innanzitutto, la conoscenza o conoscibilità della causa della malattia, in capo alla danneggiata sulla base delle seguenti circostanze: 1) la scoperta della malattia nel 2004; 2) la nota correlazione nel 2004 tra i danni epatici e la trasfusione di sangue.

La praesumptiones de praesumpto

Ebbene, il fatto noto da cui risalire a quello ignoto deve essere, però, una circostanza obiettivamente certa e non mera ipotesi o congettura (per tale ragionamento vengono richiamate Cass. 30/03/2022, n. 10190 e Cass. 28/6/2019 n. 17421 che hanno escluso che tale conoscenza potesse desumersi, pena la violazione del divieto del ricorso alle praesumptiones de praesumpto, dalla la scoperta della malattia, dalla mancata allegazione da parte di altri fattori di rischio diversi dalla trasfusione; dalla lettera di dimissioni consegnata alla paziente; dalla nota correlazione tra virus HCV e trasfusioni di sangue all’epoca della diagnosi della malattia.

A meno che non vi siano presunzioni (anche non legali), “gravi, precise e concordanti”, ai sensi dell’art. 2729 c.c., che possono costituire legittimamente la premessa di una ulteriore inferenza presuntiva idonea, in quanto, a sua volta, adeguata a fondare l’accertamento de fatto ignoto; nel caso di specie fanno difetto i requisiti della gravità, della precisione e della concordanza dei fatti assunti a base del ragionamento inferenziale; l’art. 2729 c.c., ammette, infatti, solo le presunzioni che abbiano i connotati della gravità, precisione e concordanza.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la decisione impugnata con rinvio alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione.

Avv. Emanuela Foligno

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