Il Giudice di secondo grado di Trento ha confermato la sentenza del Tribunale incrementando il risarcimento a favore dell’insegnante e delle associazioni costituitesi parti civile

La sezione lavoro della Corte di appello di Trento ha confermato la condanna dell’istituto paritario “Sacro Cuore” di Trento per discriminazione nei confronti di una insegnante, cui era stato chiesto di smentire le voci per le quali avrebbe intrattenuto una convivenza sentimentale con un’altra donna.
La sentenza, di cui è giunta significativamente notizia l’8 marzo, proprio in occasione della scorsa festa della donna, ha accolto l’appello proposto dalla docente discriminata assieme alla Cgil del Trentino e all’Associazione radicale Certi diritti, rigettando, invece l’appello incidentale dell’Istituto.
Rispetto alla decisione di primo grado è stato aumentato il risarcimento sia nei confronti della donna, cui sono stati riconosciuti 44mila euro, che delle due associazioni costituitesi parte civile, a cui andranno 10mila euro ciascuna. Secondo il legale dell’insegnante, inoltre, la sentenza riconosce che la docente fu oggetto di una diffamazione e di una ritorsione discriminatoria nell’estate 2014”.
“Mi ritengo finalmente reintegrata nella mia dignità di docente e di donna – ha affermato la protagonista della vicenda -. Sono anche contenta che in Italia si ribadisca che la vita privata di ognuna e ognuno è per l’appunto privata e che nessun datore di lavoro può entrare nelle nostre famiglie e chiedere chi siamo, chi amiamo o se vogliamo come donne abortire o meno” .
Soddisfatto anche il segretario della Cgil di Trento, Franco Ianeselli. “La decisione della Corte d’appello di Trento – ha sottolineato Ianeselli – riafferma il principio che sul posto di lavoro non si può essere discriminati per il proprio o presunto orientamento sessuale”.
“Questo nuovo pronunciamento – ha evidenziato il segretario nazionale dell’Arcigay, Gabriele Piazzoni –  ribadisce l’impossibilità di attenuare o condizionare il reato di discriminazione: niente, nemmeno le convinzioni religiose, possono giustificare o rendere possibile un’azione discriminatoria. L’Istituto condannato, quale che sia il sentimento religioso che lo ispira, deve rispettare le leggi della nostra Repubblica, che sono quelle di uno stato laico, in cui nessuna credenza viene elevata a livello di norma”.

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