Responsabilità da contatto sociale (Cassazione civile, sez. III, 05/10/2023,  n.28139).

Un caso interessante di dedotta responsabilità da contatto sociale per l’annegamento del figlio.

Venivano chiamati dinanzi al Tribunale di Cremona, il Comune di Crema e gli affidatari del bambino per chiedere il risarcimento del danno non patrimoniale, a titolo di responsabilità da contatto sociale, a seguito dell’annegamento del figlio – affidato ai convenuti dai Servizi Sociali del Comune di Crema – avvenuto nella piscina dell’abitazione degli affidatari.

Il Tribunale di Cremona rigettava la domanda.

La madre del bambino proponeva gravame e la Corte di Appello di Brescia accoglieva parzialmente la domanda attorea nei confronti dei genitori affidatari, condannandoli al pagamento di Euro 80.000,00, a titolo di risarcimento dei danni, e al rimborso delle spese processuali di entrambi i gradi di giudizio. La Corte rigettava la domanda nei confronti del Comune di Crema.

Ricorre in Cassazione la madre del bambino lamentando l’erroneo esame del titolo di responsabilità – da contatto sociale – in capo al Comune di Crema, l’erronea valutazione e travisamento di una prova documentale essenziale ai fini della decisione, la violazione o falsa applicazione degli artt. 1173,1218 e 1228 c.c.

Il motivo dii ricorso che lamenta erroneo esame del titolo di responsabilità da contatto sociale in capo al Comune, censura l’affermazione della Corte territoriale secondo cui “l’obbligo di protezione del minore, assunto dal Comune di Crema (e idoneo a generare nei genitori biologici del bimbo l’ulteriore affidamento che il loro figlio sarebbe stato al sicuro da ogni rischio), sarebbe stato superato con il provvedimento del Tribunale per i Minorenni di Brescia, rispetto al quale l’ente municipale sarebbe stato chiamato solo ad un’attività di ottemperanza.

Il motivo, oltre a essere infondato, presenta profili di inammissibilità, in quanto cumula censure di violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ossia degli artt. 1173,1218 e 1228 c.c. e di omesso esame di fatto decisivo e, con riferimento a detta ultima parte dell’esposizione, senza curarsi di apportare nuovi argomenti rispetto a quelli posti a base delle decisioni di primo e secondo grado.

La responsabilità da contatto sociale è una figura che ha trovato il suo luogo di iniziale emersione in relazione alle attività professionali (per prima, quella medica), riguarda “l’operatore di una professione c.d. protetta , in particolare se detta professione abbia ad oggetto beni costituzionalmente garantiti”.

Su questo tipo di operatore professionale incombe quel “facere” nel quale si manifesta la perizia che ne deve contrassegnare l’attività in ogni momento (l’abilitazione all’attività, rilasciatagli dall’ordinamento, infatti, prescinde dal punto fattuale se detta attività sarà conseguenza di un contratto o meno)”.

Difatti, è già stato chiarito a più riprese, che la assenza di un contratto, e quindi di un obbligo di prestazione, in capo all’esercente una professione “protetta”, non neutralizza la professionalità, che qualifica  l’opera di quest’ultimo, e che si traduce in obblighi di comportamento nei confronti di chi su tale professionalità ha fatto affidamento, entrando in “contatto” con lui”.

Ebbene, sulla scorta di tale ragionamento non può discorrersi solo di responsabilità aquiliana, poiché questa non nasce dalla violazione di obblighi, ma dalla lesione di situazioni giuridiche soggettive altrui. Quindi , quando ricorre la violazione di obblighi, la responsabilità è necessariamente contrattuale, poiché il soggetto non ha fatto  ciò a cui era tenuto, secondo lo schema caratteristico della responsabilità contrattuale.

“Fatto generatore dell’obbligazione è, pertanto, il “contatto sociale”, assistendosi, così, ad una “dissociazione tra la fonte” – che è “individuata secondo lo schema dell’art. 1173 c.c.” – “e l’obbligazione che ne scaturisce”, la quale “può essere sottoposta alle regole proprie dell’obbligazione contrattuale, pur se il fatto generatore non è il contratto” (così, Cass. n. 589 del 1999).

Questo modello di responsabilità, comunemente assimilata alla responsabilità contrattuale, sebbene per inadempimento di un’obbligazione che non è “ex contractu”, risulta fondato sull’affidamento che nutre, in ordine alla sua professionalità, chi entri in contatto con l’esercente una professione che richiede un particolare titolo abilitativo, imposto anche in relazione al rilievo costituzionali dei beni su cui tale professione incide.

Attraverso una ulteriore valorizzazione della esigenza di tutela dell’affidamento, sottesa ad ogni ipotesi di responsabilità da contatto sociale qualificato, il passaggio successivo compiuto dalla giurisprudenza è consistito nella trasposizione di tale ipotesi dal solo piano delle “professioni protette”, anche a quello delle relazioni con pubbliche amministrazioni.

La Suprema Corte rileva “ è stato ritenuto “qualificato” il contatto sociale tra sfere giuridiche, quando risulti “connotato da uno “scopo” che, per il suo tramite, le parti intendano perseguire”, evenienza ipotizzabile anche solo quando un soggetto, al fine di “evitare eventi pregiudizievoli alla persona o al patrimonio” o “di assicurarsi il corretto esercizio dell’azione amministrativa”, affidi “i propri beni della vita alla correttezza, all’influenza ed alla professionalità di un’altra persona”; si tratta, dunque, di “un contatto sociale pregnante che diventa fonte di responsabilità – concretando un fatto idoneo a produrre obbligazioni ai sensi dell’art. 1173 c.c. – in virtù di un affidamento reciproco delle parti e della conseguente insorgenza di specifici, e reciproci, obblighi di buona fede, di protezione e di informazione”, sicché è proprio la sussistenza di “una struttura obbligatoria, vicenda tipica dell’obbligazione senza prestazione che segna “la differenza con la responsabilità aquiliana, alla base della quale non vi è alcun obbligo specifico, costituendo anche il generico dovere di “alterum non laedere” niente altro che la proiezione – insita nel concetto stesso di responsabilità – sul danneggiante del diritto del danneggiato all’integrità della propria sfera giuridica, al di fuori di un preesistente rapporto con il primo, atteso che, senza il rispetto da parte di chiunque altro dal titolare, il diritto in questione non sarebbe tale” (Cass. n. 14188 del 12/07/2016 Rv. 640485-01).

Così ragionando viene escluso che il caso in esame possa ricondursi alla responsabilità da contatto sociale.

Non vi sono “reciproci” obblighi di buona fede, “di protezione e di informazione”, necessari, appunto, a dare vita a quella struttura obbligatoria che vale a differenziarla dalla responsabilità aquiliana, ove rileva un generico obbligo di alterum non laedere.

Per tali ragioni non è possibile ravvisare nella posizione dei coniugi affidatari del bambino, a seguito del provvedimento giudiziario di affido, degli ausiliari del Comune, nel senso che la fattispecie di cui all’art. 1228 c.c. postula, per la sua concreta applicabilità, l’esistenza di un rapporto tra ausiliario e committente ossia del cd. rapporto di preposizione.

Il ricorso viene rigettato.

Avv. Emanuela Foligno

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