La Cassazione ha fornito chiarimenti in merito alla possibilità di un risarcimento alla moglie per la perdita del marito ricco

Potrebbe spettare un risarcimento alla moglie per la perdita del marito ricco? Secondo la Corte di Cassazione il ristoro per l’addebito della separazione copre la lesione alla dignità della moglie, ma non la perdita di un marito facoltoso.
Lo ha sancito la I sezione civile, nella sentenza n. 19422/2017 che ha dichiarato inammissibile il ricorso di una donna contro la sentenza d’appello che aveva, tra l’altro, pronunciato la sua separazione, con addebito della stessa al marito.
Nel caso di specie, la donna aveva scoperto che il marito aveva avuto una figlia da una precedente relazione e, per i giudici, tale motivo giustifica la separazione con addebito a carico del consorte, ma la moglie non aveva diritto di chiedere un risarcimento più elevato evidenziando le capacità reddituali dell’ex coniuge.
Il risarcimento alla moglie per la perdita del marito ricco, infatti, non è ammissibile, in quanto il risarcimento è semmai legato alla lesione della dignità e della salute che la donna ha subìto dalle modalità con cui ha scoperto della figlia del partner.
La donna, inizialmente, aveva ottenuto non solo l’assegno di mantenimento da parte dell’ex, ma anche un risarcimento del danno. Tuttavia, in sede di legittimità, la ricorrente aveva contestato la misura del risarcimento, poiché a suo avviso la Corte nel determinarlo non avrebbe valutato adeguatamente le capacità patrimoniali e reddituali del danneggiante e i conseguenti vantaggi che lei avrebbe avuto in caso di persistenza del vincolo coniugale.
Dunque, secondo la moglie, la Corte d’Appello avrebbe dovuto tener conto anche delle capacità patrimoniali e reddituali del danneggiante al momento di liquidare equitativamente il danno da lei patito in relazione ai fatti che avevano portato alla separazione con addebito.
Tale motivazione, tuttavia, è stata ritenuta dai giudici inammissibile.
È infatti un principio consolidato dalla giurisprudenza che “la valutazione in concreto della liquidazione equitativa del danno rimane insindacabile in Cassazione, purché la stessa sia sorretta da motivazione adeguata e sia indicato il percorso argomentativo seguito in proposito”.
Nel caso in questione, il giudice ha rilevato che il danno subito dall’attuale ricorrente “non è la perdita di un marito facoltoso, ma, in ipotesi, la lesione della dignità e della salute per effetto delle modalità e circostanze nelle quali apprese dell’esistenza … di una figlia che il marito aveva avuto da una precedente relazione”.
Quanto alla doglianza relativa alla misura del mantenimento e al fatto che, secondo la ricorrente, la Corte avrebbe dovuto procedere a indagini tributarie, invece omesse, la Corte ha rifiutato anche questa.
I giudici hanno infatti ricordato che le indagini patrimoniali che si possono disporre tramite la polizia tributaria, costituiscono una deroga alle regole generali sull’onere della prova e dunque l’esercizio di tale potere non può sopperire alla carenza probatoria della parte onerata. Ne consegue che tale indagine non può essere attivata a fini meramente esplorativi.
 
 
 
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