A che punto siamo con la salute mentale in Italia? La Rete Sostenibilità e Salute traccia un bilancio a 40anni dalla legge Basaglia

In che modo i servizi sanitari si fanno carico dei bisogni della salute mentale? Partendo da questo presupposto l’associazione focalizza lo stato attuale dell’arte.

Secondo la definizione fornita dall’organizzazione mondiale della sanità, la salute mentale è lo stato di benessere in cui ogni individuo possa realizzare il suo potenziale, affrontare il normale stress della vita, lavorare in maniera produttiva e fruttuosa e apportare un contributo alla propria comunità̀”.

Salute mentale non equivale quindi solo all’assenza di disturbi ma da si riferisce alle capacità e alle possibilità di fare e di essere ciò che si ritiene importante, ciò̀ a cui attribuiscono valore.

La promozione e la tutela della salute mentale vanno per questo al di là dell’assistenza sanitaria e richiedono azioni trasversali su settori differenti oltre che la partecipazione delle diverse istituzioni e il coinvolgimento dei cittadini.

Disturbi mentali

I disturbi mentali sono diffusi in tutto il mondo ma – si sottolinea nel rapporto – “Il peso relativo dei disturbi mentali nei paesi sviluppati è maggiore in termini percentuali rispetto al peso di questi nei paesi in via di sviluppo”.

L’incidenza di questi disturbi si deve alle caratteristiche proprie dell’ambiente circostante.

Il mondo è sempre più inquinato e insalubre, governato da discriminazioni, spinto al consumo, animato da divisioni sociali e disuguaglianze che deteriorano il capitale di salute mentale a disposizione delle popolazioni.

Sono diversi i fattori che incidono sul benessere della popolazione e degli individui. Dai cambiamenti climatici alle disuguaglianze economiche.

I pregiudizi e le discriminazioni razziali e di genere. Il mondo del lavoro nella sua globalità. La qualità̀ dell’ambiente scolastico, gli stili alimentari e l’attività̀/esercizio fisico.

Passando per l’urbanizzazione e la disponibilità o meno di aree verdi arrivando al supporto sociale.

Teoria vs prassi medica

Miguel Benasayag e Gérard Shmit notano che “il disagio non è più psicologico, diventa parte della cornice culturale dentro cui ci muoviamo e da cui è amplificata”.

L’uomo va considerato nella sua entità unica ed indivisibile in rapporto dinamico con l’ambiente fisico e relazionale circostante.

Nel campo della psichiatria viene riconosciuto un modello di causazione bio-psico-sociale e l’importanza del contesto culturale ma nella prassi clinica si privilegia l’approccio tecnico, biomedico-riduzionista.

Si adotta cioè un modello che avvantaggi la diagnosi categoriale e prescrizione farmacologica a discapito delle componenti psicosociali, culturali e legate agli stili di vita.

Il trattamento della componente sintomatica della patologia diventa quindi prioritario rispetto alla comprensione dei processi che ostacolano il benessere della persona.

Al fine di trattare nel modo più idoneo possibile disturbi mentali è necessario dare il giusto peso ai fattori sociali che incidono sul loro sviluppo.

Il contesto socio culturale rappresenta infatti un potente fattore di protezione/rischio rispetto all’esito della malattia, che sia essa di natura biologica, genetica o mentale.

Negato il concetto di guarigione

Notoriamente nella salute pubblica si predilige l’uso di indicatori di processo a scapito di quelli di esito.  Questo sistema sembra negare il concetto di guarigione perché non tiene conto delle indicazioni relative al guadagno di salute mentale e al processo di recovery.

L’esclusione del concetto di guarigione dai percorsi formativi preclude ai cittadini la possibilità di ritornare ad una vita in salute all’interno del tessuto sociale.

Esclusione che si verifica con il proseguo di pratiche come le misure contenitive “che violano sistematicamente i più elementari diritti umani, limitando le libertà fondamentali dei cittadini” o l’esistenza di Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura a “porte chiuse”.

Pratica del tutto in contraddizione con il principio dell’affermazione della salute mentale nonché con i dettami del Piano d’Azione per la Salute Mentale 2013-2020 (WHO 2013) sottolinea la necessità di lavorare per un effettivo coinvolgimento della società civile.

Il SSN è chiamato ad una svolta decisiva. Le persone affette da disturbi mentali non solo devono essere coinvolte attivamente nella vita sociale ma si deve permettere loro anche di partecipare realmente – supportati dalla rete sociale – alle decisioni relative al proprio percorso terapeutico.

La politica sanitaria in materia di salute mentale

Dal rapporto stilato da Rete Sostenibilità e Salute emerge che la politica sanitaria rivolta alla tutela della salute mentale è alquanto mal messa.

La riduzione delle risorse soprattutto umane registrata negli ultimi anni determina un sistema di cura profondamente inadeguato, disuguale e spesso inabilitante.

Segue poi una inappropriatezza organizzativa, con pesanti ripercussioni in termini di efficacia, accessibilità e sostenibilità dei servizi.

Le poche risorse disponibili sono infatti destinate quasi esclusivamente verso la componente ospedaliera e residenziale degli interventi. La componente domiciliare e territoriale in questo sistema viene poi sottoutilizzata e sottofinanziata.

Attualmente – sottolinea l’associazione – l’accesso ai servizi di salute mentale è garantito esclusivamente a quei cittadini che versano in condizioni gravi e di grande crisi, esponendo i pazienti meno gravi (tra questi soprattutto i più̀ giovani) e in condizioni di maggior svantaggio socio-economico, al rischio di peggioramento o cronicizzazione, con grandi ricadute in termini di costi economici e sociali.

Come promuovere la salute mentale?

Rete Sostenibilità e Salute stila una serie di suggerimenti per promuovere la salute mentale.

Innanzitutto è necessario riprogettare in profondità̀ il nostro sistema socio-economico a partire dai suoi determinanti sociali, ambientali, culturali e legati agli stili di vita.

Favorire programmi culturali che sensibilizzino e responsabilizzino la cittadinanza nei confronti della propria salute mentale, contribuendo a diminuire lo stigma, a creare opportunità di incontro e confronto e contestualmente contrastando la medicalizzazione.

Introdurre cambiamenti culturali su più fronti, che coinvolgano attivamente la società civile. Da una parte è bene promuovere una società più equa e sostenibile nella quale realizzare differenti relazioni fra gli esseri umani e fra questi e la natura.

Dall’altra parte è necessario investire tempo e risorse sulla formazione del personale medico della salute mentale. E ancora, sulla recovery, la cura, la riduzione dell’inappropriatezza prescrittiva ed i rischi della medicalizzazione di problematiche socio-culturali.

Si devono poi valorizzare modelli operativi in grado di rispondere ai molteplici bisogni dei pazienti, con particolare attenzione alle diversità̀ culturali.

Rete Sostenibilità e Salute chiama direttamente in causa il Il SSN, sollecitando la destinazione di budget adeguati alla salute mentale.

Tra gli interventi suggeriti troviamo poi la riorganizzazione della rete assistenziale. In particolare è opportuno correggere il rapporto tra componente territoriale e componente residenziale, implementando forme di residenzialità̀ leggera e soprattutto potenziando i servizi territoriali.

Si deve poi monitorare l’applicazione dei LEA. In particolare, sperimentare e valutare in contesti definiti la figura dello psicologo/psicoterapeuta di base e strutturare programmi di integrazione fra medicina di base e psichiatria promuovendo un diffuso interesse alla salute mentale.

 

Barbara Zampini  

 

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