Qualora l’evento dannoso o pericoloso del reato di cessione di stupefacenti sia connotato da un ridotto grado di offensività o disvalore sociale, può ritenersi applicabile la circostanza attenuante del conseguimento di un lucro di speciale tenuità? La Cassazione ha rimesso la questione alle Sezioni Unite

La vicenda

Con sentenza resa nell’ottobre 2018, la Corte di Appello di Torino confermava la condanna a carico dell’imputato ritenuto responsabile del reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, per aver venduto grammi 2,2 di hashish al prezzo di 10 Euro.

Il gravame verteva unicamente sul riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 4, che la Corte di merito ha escluso, aderendo all’indirizzo giurisprudenziale secondo cui la concessione di tale attenuante – che si fonda sulla rilevanza economica della violazione – si risolverebbe in una duplice valutazione del medesimo fatto, già considerato di lieve entità ed inquadrato nella fattispecie dell’art. 73, comma 5, con conseguente indebita duplicazione dei benefici sanzionatori.

Contro tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per Cassazione, deducendo, con unico motivo, la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione agli artt. 127 e 605 c.p.p., D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5 e art. 62 c.p., n. 4.

Al riguardo la difesa ha richiamato i due diversi orientamenti formatisi nella giurisprudenza di legittimità, insistendo per l’applicazione della circostanza attenuante e chiedendo, in subordine, l’assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite per dirimere il contrasto.

Il primo orientamento

Secondo un primo orientamento la circostanza attenuante del conseguimento di un lucro di speciale tenuità di cui all’art. 62 c.p., n. 4 è applicabile al reato di cessione di sostanze stupefacenti in presenza di un evento dannoso o pericoloso connotato da un ridotto grado di offensività o disvalore sociale, ed è compatibile con l’autonoma fattispecie del fatto di lieve entità prevista dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5. Tale attenuante richiede, rispetto al “fatto lieve”, un elemento specializzante costituito dall’avere l’agente perseguito o conseguito un lucro di speciale tenuità, per cui non si avrebbe alcuna indebita duplicazione di benefici sanzionatori.

Con questa puntualizzazione la Sesta Sezione Penale della Cassazione (sentenza 31/1/2018 n. 11363) ha risolto i potenziali conflitti di sovrapposizione tra le due norme, originati dal rilievo che l’attenuante comune presuppone, nei delitti determinati da motivi di lucro, che l’agente abbia conseguito un lucro di speciale tenuità ed altresì che l’evento dannoso o pericoloso sia stato di speciale tenuità, così come il D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, sanziona le condotte illecite in materia di stupefacenti che si connotino per la loro lieve entità.

Tale orientamento mette in evidenza che l’attenuante di cui all’art. 62, n. 4 presenta un elemento specializzante rispetto alla generale previsione del reato di “lieve entità” in materia di stupefacenti, costituito appunto dall’avere l’agente perseguito o conseguito un lucro di speciale tenuità; il che escluderebbe ogni indebita duplicazione di benefici sanzionatori in caso di contestuale riconoscimento della fattispecie delittuosa del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5 (Sez.6, n. 36868 del 23/06/2017).

Il secondo orientamento

Di segno opposto è l’orientamento che sostiene la non applicabilità della circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità di cui all’art. 62 c.p., n. 4, ai reati in tema di stupefacenti che, altrimenti, si risolverebbe in una duplice valutazione del medesimo fatto.

Si è detto, infatti, che per la configurabilità dell’attenuante dell’art. 62 c.p., n. 4 nei delitti comunque determinati da motivi di lucro debbono concorrere due elementi: l’aver agito per conseguire, o l’avere comunque conseguito, un lucro di speciale tenuità e l’essere poi l’evento, dannoso o pericoloso, di speciale tenuità; ciò significa che tale circostanza attenuante potrebbe essere concessa solo in una situazione caratterizzata dalla “minima offensività” del fatto, sotto il profilo del profitto derivatone per l’agente e del danno dal medesimo provocato; si tratta, tuttavia, di una situazione all’evidenza coincidente con i presupposti fattuali che condizionano il riconoscimento della fattispecie di “lieve entità” di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5.

Non sarebbe, perciò, consentita una duplice valorizzazione delle medesime circostanze per addivenire all’applicazione dell’attenuante comune al fatto di lieve entità, già giudicato tale sulla base dei medesimi elementi costitutivi dell’attenuante.

Nelle pronunce che aderiscono a tale orientamento, l’incompatibilità dell’attenuante dell’art. 62 c.p., n. 4 è stata ritenuta anche in ragione dell’ulteriore requisito applicativo consistente nella speciale tenuità del danno o del pericolo cagionati, requisito che deve coesistere con quello della tenuità del lucro: nei reati in materia di stupefacenti – si è detto – l’evento non potrebbe essere in alcun caso qualificato in termini di “speciale tenuità”, atteso che le condotte contemplate e penalmente sanzionate dal D.P.R. n. 309 del 1990 sono lesive dei valori costituzionali attinenti alla salute pubblica, alla salvaguardia del sociale, alla sicurezza ed all’ordine pubblico, di fronte ai quali resterebbe del tutto irrilevante la ridotta valenza economica del lucro conseguito.

Questione rimessa alle Sezioni Unite

Sulla base di tale evidente contrasto giurisprudenziale, la Quarta Sezione Penale della Cassazione ha rimesso la questione alle Sezioni Unite, demandando la soluzione del seguente quesito di diritto: “Se la circostanza attenuante del conseguimento di un lucro di speciale tenuità di cui all’art. 62 c.p., n. 4 sia applicabile al reato di cessione di sostanze stupefacenti in presenza di un evento dannoso o pericoloso connotato da un ridotto grado di offensività o disvalore sociale, e se sia compatibile con l’autonoma fattispecie del fatto di lieve entità, prevista dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5“.

Avv. Sabrina Caporale

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