Richiesta l’abolizione del superticket sulla sanità. Ma che cos’è questa tassa e perché è così odiata da politici e cittadini?

Tra le molte tasse a carico dei cittadini, c’è anche l’odiato superticket sulla sanità. Una tassa introdotta durante la crisi economica per far fronte alla spesa sanitaria, che ha sollevato non poche critiche da parte del mondo politico e dei cittadini.
Ora Mdp chiede l’abolizione pura e semplice del superticket sulla sanità, mentre una risoluzione di maggioranza alla nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza ne chiede una revisione graduale.
La differenza nella richiesta non è solo nei termini, è una questione di risorse.
Secondo alcune stime un’abolizione totale e generalizzata del superticket sulla sanità di 10 euro costerebbe alle casse dello Stato 600-700 milioni. Altri parlano di almeno 830 milioni. Risorse che andrebbero reintegrate in qualche modo.
Allo studio diverse soluzioni, tra cui quella di un nuovo ticket da imporre ai codici verdi, quelli delle urgenze minori che non interessano le funzioni vitali ma devono essere curate. Una alternativa «demenziale», come commenta Tonino Aceti, coordinatore nazionale del Tribunale per i diritti del malato.
“È una questione di risorse”, dichiara il ministro della Salute Beatrice Lorenzin. ”C’è una buona notizia. Siamo in una fase di uscita dalla recessione. Il fondo sanitario regionale crescerà insieme al Pil del Paese.” Attueremo – continua il ministro – “un impianto di programmazione sanitaria solido […] con l’obiettivo di fare interventi mirati recuperando, al contempo, risorse sprecate per reinvestirle nelle strutture”.

L’iniziativa di Cittadinanzattiva – Tribunale per i diritti del malato

Cittadinanzattiva ha avviato alla fine del 2016 una petizione sulla piattaforma change.org per l’abolizione del superticket sulla sanità. Sono state raccolte oltre 35mila firme.
“È una tassa iniqua che ha alimentato le disuguaglianze, aumentato i costi delle prestazioni sanitarie, gravando ancor più sulle tasche delle persone che sempre più spesso rinunciano a curarsi, pur avendone bisogno.
Quella che doveva essere una manovra transitoria e straordinaria, a distanza di 5 anni dalla Legge Finanziaria del 2011 che l’ha introdotta, è diventata invece la normalità”. Commenta Tonino Aceti, coordinatore nazionale del Tribunale per i diritti del malato.

Ma che cos’è il superticket sulla sanità e perché è stato introdotto?

Il superticket sulla diagnostica era stato proposto nella Finanziaria del 2007 dal Governo Prodi, ma poi è stato rimandato. È diventato operativo dal 2011 durante il Governo Berlusconi con l’articolo 17 “Razionalizzazione della spesa sanitaria” della legge Finanziaria del 2011 (legge 111 del 15 luglio 2011).
È uno strumento pensato per far fronte alla spesa sanitaria nazionale. Ma una tassa simile, il ticket, era già stata introdotta dal 1994. Perché è stata, quindi, introdotta questa nuova tassa? Esiste una differenza sottile tra ticket e superticket.
Ogni cittadino contribuisce alla spesa sanitaria nazionale attraverso il pagamento di una tassa (ticket) per le prestazioni fornite dal Ssn, i cosiddetti Lea. Il ticket per le prestazioni ambulatoriali ammonta – in quasi tutte le regioni –  a un massimo di 36,15 euro per ogni ricetta medica.
Si applica a tutte le prestazioni specialistiche e su quelle di pronto soccorso (ma non sulle emergenze). Previsto anche sulle cure termali e – a seconda delle regioni – anche sui farmaci.
Il superticket è una tassa aggiuntiva al ticket, del valore di 10€. Una tassa che si paga sui servizi fruiti, in base al numero e alla tipologia degli stessi per prestazioni diagnostiche e specialistiche.
Esiste anche un superticket per le prestazioni ospedaliere, introdotto già dalla manovra Prodi. I casi di codice bianco dovranno al Ssn un ticket del valore di 25€.
Esclusi dal pagamento i bambini e gli anziani che fanno parte di un nucleo familiare che guadagna meno di 36.150 euro annui. Esclusi anche i disoccupati, i pensionati sociali ed i pensionati al minimo, i malati cronici, i cittadini affetti da malattie rare che possiedono un idoneo attestato della Asl, gli invalidi civili, di guerra e per lavoro.

Il federalismo fiscale

Il superticket sulla sanità non è presente allo stesso modo nelle regioni italiane, grazie alla libertà introdotta dalla stessa manovra. All’atto dell’approvazione della misura si è, infatti, stabilito che le Regioni potessero scegliere o meno di applicare la tassa.
In caso di mancata predisposizione le Regioni dovevano adottare misure alternative di partecipazione al costo delle prestazioni sanitarie di misura equivalente al mancato introito.
Nel tempo si sono delineati quattro differenti indirizzi. Alcune regioni non applicano questa tassa. Altre applicano 10 euro fisse su tutte le ricette per prestazioni diagnostiche e specialistiche. Ci sono poi regioni che scelgono invece una via di mezzo, alcune modulano la cifra del superticket per ogni ricetta in base al reddito, altre invece la modulano rispetto al valore delle prestazioni in ricetta.
Divergenze anche sulla condizione economica di riferimento utilizzata per modulare il superticket sulla sanità. Alcune regioni prendono in riferimento il reddito familiare altre l’ISEE.
Vediamo nel dettaglio le iniziative regione per regione.
Il superticket non si paga in Sardegna, Val d’Aosta, Basilicata, e a Trento e Bolzano (che ne assorbono l’onere nel loro bilancio). Si paga in Lazio, Friuli, Liguria, Marche, Molise, Abruzzo, Puglia, Sicilia e Calabria. In Campania, Piemonte e Lombardia viene applicato in maniera progressiva all’aumentare del valore della ricetta, mentre viene modulato in base al reddito in Veneto, Emilia Romagna, Umbria e Toscana.

I limiti dell’”odiosa” tassa

Il superticket è una misura economica adottata in linea di principio come deterrente contro la spesa sanitaria inutile. Uno strumento che dovrebbe responsabilizzare gli utenti circa il costo dei servizi erogati, incentivandoli a contenere i consumi sanitari inappropriati e di limitata efficacia.
All’atto pratico è uno strumento di disuguaglianza tra regione e regione che non permette di garantire a tutti un accesso eguale alle cure, con prezzi per le stesse visite che cambiamo in base alla residenza.
La degenerazione del superticket in uno strumento di disuguaglianza si ha per la motivazione stesse con cui è stato pensato. È uno strumento puramente finanziario, stabilito per fra fronte al taglio imposto alla spesa sanitaria dalla manovra economica e non un mezzo per responsabilizzare i cittadini sulla spesa sanitaria.
L’introduzione di questa tassa non ha poi avuto l’effetto sperato. Gli introiti da ticket sono diminuiti del 9,4% nel periodo 2012 -2015. La domanda sanitaria si è infatti spostata dalle strutture pubbliche a quelle private, che non adottano il superticket offrendo prezzi più vantaggiosi per i cittadini.
Il superticket sulla sanità rende più costose alcune prestazioni pubbliche rispetto a quelle private. Ad esempio, l’esame delle urine nel privato costa circa 2,17 euro, mentre nel pubblico arriva a 16,17 euro; l’emocromo in privato costa circa 9,89 euro, nel pubblico 20,89 euro.
Tutto questo ha portato ad una diminuzione di fatto della copertura assistenziale. Una situazione inaccettabile, che lede un diritto fondamentale del cittadino. È quindi necessario un ripensamento urgente della tassa al fine di favorire a tutta la popolazione l’accesso alle cure senza distinzioni regionali e/o reddituali.
 

Barbara Zampini

 
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