Tiroidite autoimmune del paziente (Cassazione penale, sez. IV, dep. 03/05/2023, n.18281).

Tireotossicosi in tiroidite autoimmune e successivo decesso del paziente.

La Corte d’Appello di Napoli, confermava la sentenza di condanna nei confronti del Medico di base e del Medico di Pronto Soccorso in ordine al reato di cui all’art. 589 c.p., alla pena rispettivamente di anni 1 e mesi 6 di reclusione e di anni 1 di reclusione e ha confermato, altresì, la condanna degli imputati predetti in solido con il responsabile civile al risarcimento dei danni in favore delle parti civili.

La paziente, nel settembre 2013, a fronte di evidenza di gozzo tiroideo e malessere diffuso, si rivolgeva al Medico di base, il quale, a seguito degli esami, in un quadro clinico caratterizzato da tiroidite autoimmune, prescriveva una terapia farmacologica a base di Eutirox mg 50 per circa un mese con successivo incremento posologico a 75 mg. Nei mesi successivi mesi si verificava peggioramento delle condizioni di salute, con rilevante perdita di peso (30 kg, estrema debolezza e tachicardia). La paziente revocava il Medico di base  e si rivolgeva a una specialista endocrinologa.

Quest’ultima, dopo visita, aveva cambiato la terapia, sostituendo il farmaco Eutirox con il farmaco Tapazole e prescrivendo un farmaco betabloccante, e prescriveva il controllo dei valori dell’emocromo e degli ormoni tiroidei.

Effettuati gli esami richiesti, la paziente era stata nuovamente visitata dalla Endocrinologa, la quale le aveva consigliato di proseguire con la terapia in atto. Infine, a fronte del peggioramento delle condizioni e della comparsa dei sintomi della poliuria e della polidipsia, il giorno 15 dicembre si era rivolta al Pronto soccorso dell’Ospedale ove la Endocrinologa, aveva effettuato l’elettrocardiogramma, ma non anche gli esami ematochimici di routine (fra cui la glicemia) e l’aveva dimessa confermando sia la diagnosi di tiroidite autoimmune, sia la terapia in atto con il solo incremento posologico. La donna, rientrata a casa, subiva un ulteriore aggravamento delle condizioni e il giorno 16 dicembre si recava nuovamente presso il Pronto Soccorso, ove decedeva a causa di collasso cardiocircolatorio indotto dalla presenza contemporanea di tireotossicosi e di cheto acidosi diabetica.

Posta la vicenda nei fatti, nei confronti del Medico di base veniva ravvisata negligenza, imprudenza e imperizia, per avere prescritto una terapia farmacologica del tutto incongrua rispetto al quadro clinico, considerata la condizione di tireotossicosi, in luogo della terapia basata sulla somministrazione di farmaci ad azione tireostatica atti a bloccare la sintesi dell’ormone tiroideo, con conseguente peggioramento della sintomatologia e ritardo della diagnosi di diabete di tipo I; per avere omesso approfondimenti diagnostici che avrebbero consentito di anticipare la diagnosi ed il trattamento del diabete.

Invece, nei confronti della Endocrinologa sono state ravvisati, quali addebiti di colpa, la negligenza, l’imprudenza e l’imperizia, per avere, a fronte di un quadro anamnestico caratterizzato da poliuria e polidipsia e di un quadro clinico emergente dagli esami ematochimici e dall’esame Eco di ipertiroidismo autoimmune con tachicardia sinusale (120 battiti/minuto), omesso di prescrivere prelievo ematico per il dosaggio della routine ematochimica di urgenza (normalmente comprensiva della glicemia) ed essersi limitata a confermare la terapia precedente, laddove il prelievo ematico avrebbe consentito di diagnosticare il concomitante scompenso diabetico.

I due imputati impugnano la decisione in Cassazione.

Il Medico di base censura la sussistenza del nesso eziologico tra la errata prescrizione del farmaco e il decesso della vittima. In particolare lamenta che la Corte di Appello non si sarebbe confrontata con alcuni dati. Per quanto qui di interesse, nello specifico:

a) la mancanza di una prova medico legale o di una legge scientifica di copertura idonea a dimostrare che la prescrizione errata di Eutirox abbia causato alla paziente, già affetta da ipertiroidismo, l’insorgenza di aritmie cardiache irreversibili e quindi tali da determinare il danneggiamento irreparabile delle fibre del tessuto del miocardio incidendo in maniera apprezzabile sull’exitus. Inoltre, sostiene che l’aggravamento apparentemente irreversibile delle condizioni della donna si era verificato in un ambito temporale nel quale egli non era più suo Medico di base.

b) la prova clinica della regressione della problematica tiroidea di cui soffriva la donna,  così come documentata dagli esami di laboratorio dimostrerebbe che l’ipotizzabile aggravamento per la somministrazione di Eutirox della patologia tiroidea fosse stato, quanto meno, annullato a seguito della assunzione per soli 16 giorni del Tapazole. In tal senso si erano espressi nel corso del dibattimento i Consulenti Tecnici del Pubblico Ministero. Inoltre, nessuno degli esperti sentiti nel corso del dibattimento aveva avallato la ricostruzione per cui causa del decesso della donna era stata la tireotossicosi da ipertiroidismo e non già in via autonoma il diabete: l’effetto dell’aggravamento del ipertiroidismo finalizzato alla determinazione dell’exitus non era in realtà mai avvenuto e si era comunque interrotto.

La Endocrinologa lamenta che si sarebbe dato per accertato un fatto che accertato non era, ovvero la conoscenza del quadro anamnestico caratterizzato da poliuria e polidipsia. In ordine alla responsabilità censura che le sentenze di merito non spiegherebbero da quale prova testimoniale, logica o scientifica si possa ricavare il nesso di casualità fra la condotta omissiva contestata e l’evento morte e lamenta la rilevanza attribuita alle dichiarazioni testimoniali dei testi- parti civili, portatori di un interesse economico e la svalutazione delle dichiarazioni dei testi qualificati che avevano affermato non essere emerso alcun addebito a carico dei sanitari. In tal modo i giudici di merito avrebbero sostituito il loro libero convincimento al sapere scientifico. Inoltre, lamenta che la Corte non avrebbe tenuto conto delle conclusioni dei Consulenti Tecnici del Pubblico Ministero, i quali avevano spiegato che, date le informazioni di cui era in possesso la Endocrinologa, la stessa avrebbe “potuto”, ma non “dovuto” effettuare un prelievo ematico, ed avrebbe fondato la condanna sulle risultanze delle dichiarazioni testimoniali omettendo di considerare le insanabili contraddizioni emerse.

Gli Ermellini, preliminarmente danno atto che il delitto risulta prescritto e che la sentenza deve essere annullata agli effetti penali senza rinvio per essere il reato estinto per intervenuta prescrizione. Di talchè viene analizzata l’impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che riguardano gli interessi civili.

Le censure mosse da entrambi i ricorrenti, in ordine all’utilizzo da parte dei Giudici di merito della prova scientifica, veicolata nel processo dai Consulenti tecnici, sono fondate.

Non vi è contestazione sulla causa della morte ricondotta ad arresto cardiocircolatorio dovuto ad aritmia, quale portato della cardiomiopatia correlata alla situazione di ipertiroidismo con crisi tireotossica e della chetoacidosi diabetica. Egualmente non vi è contestazione, per quanto concerne la posizione del Medico di base,  in ordine alla sussistenza della condotta colposa correlata alla errata somministrazione a seguito di diagnosi di ipertiroidismo, documentata da esami clinici e da evidenza di gozzo, di un farmaco indicato per la opposta patologia di ipotiroidismo, con conseguente immissione nell’organismo della persona offesa di ormoni tiroidei, che ne avevano aggravato le condizioni di salute.

Infine, non è in contestazione, con riferimento alla posizione della Endocrinologa,  che la stessa, in occasione dell’accesso della paziente al Pronto Soccorso dell’Ospedale, non ordinò la effettuazione degli esami ematochimici di routine, fra cui la glicemia, pur se in ordine alla doverosità o meno di tale prescrizione non vi è stata concordanza di vedute.

Entrambi i ricorrenti, contestano, invece, l’accertamento della casualità fra le condotte tenuti e l’evento morte.

Il Medico di base, ha rilevato che non era emersa nel corso del processo una spiegazione medico scientifica in forza della quale l’aggravamento delle condizioni di salute che aveva condotto alla morte fosse stato conseguenza, con alta probabilità logica, della incongrua prescrizione e assunzione di Eutirox, e che anzi le evidenze scientifiche del processo deponevano in senso contrario.

La Endocrinologa, invece, ha rilevato che difettava del tutto nel percorso argomentativo dei Giudici di merito l’approfondimento del giudizio controfattuale atto a dimostrare che se fosse stato effettuato il prelievo ematico della glicemia la vittima avrebbe evitato o comunque ritardato l’evento morte.

Il Tribunale ha dato atto della condotta colposa del Medico di base, consistita nell’aver somministrato un farmaco errato che aveva immesso nell’organismo della vittima ulteriori ormoni tiroidei, oltre a quelli già prodotto in eccesso a causa della patologia di tiroidite autoimmune e ha ritenuto provata l’efficienza eziologica della condotta dello stesso rispetto all’exitus, argomentando che la terapia errata aveva inciso in maniera seria ed apprezzabile sul quadro clinico della paziente. A tale ultimo proposito, tuttavia, il Tribunale ha qualificato come “totalmente contraddittoria” la deduzione del Consulente Tecnico del Pubblico Ministero, il quale aveva affermato, da un lato, che la terapia errata aveva mascherato clinicamente lo scompenso iperglicemico e aveva consentito l’azione sinergica negativa della tireotossicosi sul diabete di tipo I e, dall’altro, aveva concluso ritenendo non concausale all’exitus la somministrazione del farmaco: secondo i Giudici la conclusione finale cui era giunto il consulente era inconferente rispetto a quanto indicato nell’elaborato a sua firma.

A proposito della posizione della Specialista di Pronto Soccorso, il Tribunale ha ritenuto “infondato” l’assunto dei Consulenti del Pubblico Ministero, e del Consulente di parte, secondo i quali l’imputata “avrebbe potuto, ma non avrebbe dovuto” eseguire un controllo dei valori di glicemia in assenza di sintomi di poliuria e polidipsia, in quanto sconfessato dalle Raccomandazioni per la pratica clinica “Tireopatie e Diabete” che evidenziano come l’associazione fra le due patologie si riscontra non raramente. Sarebbe assurdo -hanno osservato i Giudici- da un lato affermare in linea di principio il dovere del sanitario di accertare la eventuale compresenza di altre patologie e, dall’altro, ricondurre la scelta di eseguire la routine ematochimica di urgenza al mero vaglio discrezionale del medico. Secondo i Giudici di merito il peggioramento dei sintomi della paziente avrebbe dovuto imporre approfondimenti diagnostici. Il Tribunale ha concluso nel senso che se la Dottoressa avesse verificato il valore della glicemia, e quindi somministrato idonea terapia, l’evento non si sarebbe verificato, senza, peraltro, suffragare tale affermazioni con argomenti di tipo medico provenienti dagli esperti sentiti nel corso del processo.

La Corte di Appello, nel confermare la affermazione di responsabilità, ha richiamato le valutazioni compiute dal Tribunale in merito alla condotta colposa di entrambi gli imputati.

Ebbene, in tema di colpa medica, per l’esistenza del nesso di causa, in base al disposto degli artt. 40 e 41 c.p., occorrono due elementi: il primo, positivo, secondo il quale la condotta umana deve aver posto una condizione dell’evento; il secondo, negativo, per cui il risultato non deve essere conseguenza dell’intervento di decorsi causali alternativi di per se soli sufficienti a determinare l’evento.

Il ricorso alle cognizioni scientifiche, nello studio degli eventi che si verificano in ambito sanitario, soddisfa i principi di tassatività e di certezza giuridica, in quanto consente di imputare all’uomo un evento che può essere scientificamente considerato conseguenza della sua azione od omissione. Il sapere scientifico costituisce un indispensabile strumento al servizio del giudice di merito, che deve risolvere una serie di problemi che riguardano da un lato l’affidabilità, l’imparzialità delle informazioni che i tecnici veicolano nel processo e dall’altro attengono alla logica correttezza delle inferenze che vengono elaborate facendo leva, appunto, sulle generalizzazioni esplicative elaborate dalla scienza”.

La razionale ponderazione delle valutazioni tecniche, deve emergere nella motivazione della sentenza, ove occorre dare conto del controllo esercitato sull’affidabilità delle basi scientifiche del giudizio. Si tratta di valutare l’autorità scientifica dell’esperto che trasferisce nel processo la sua conoscenza della scienza; ma anche di comprendere, soprattutto nei casi più problematici, se gli enunciati che vengono proposti trovano comune accettazione nella comunità scientifica.

Tenendo presenti tali principi, gli Ermellini sottolineano che il Giudice è effettivamente, peritus peritorum: ovverosia custode e garante della scientificità della conoscenza fattuale espressa dal processo.  Difatti le modalità di acquisizioni scientifiche all’interno del processo rendono chiaro che esso è uno strumento al servizio dell’accertamento del fatto e parte dell’indagine che conduce all’enunciato fattuale.  Ciò significa che la Suprema Corte, non potendo valutare il fatto, deve controllare la razionalità delle valutazioni che a tale riguardo il Giudice di merito esprime.

Sia il Tribunale, sia la Corte di Appello hanno superato le difformi conclusioni dei Consulenti del Pubblico Ministero e del Consulente di parte, facendosi essi stessi dispensatori di sapere scientifico: i Giudici hanno sconfessato le affermazioni dei Consulenti, definendole “contraddittorie”, “infondate”, sulla base del loro personale sapere e si sono fatti essi stessi creatori della legge scientifica, in tal modo contravvenendo ai principi per i quali il Giudice è custode e garante della scientificità della conoscenza espressa dai Tecnici nel processo, ma non già egli stesso portatore di una propria conoscenza, rispetto a temi che richiedono cognizioni differenti da quelle giuridiche.

I Giudici di merito,  hanno apoditticamente affermato la rilevanza casuale della condotta colposa degli imputati, senza soffermarsi sulle difformi valutazioni dei Consulenti e senza approfondire in maniera adeguata, da un lato, se la prescrizione da parte del Medico di base del farmaco errato avesse determinato un processo causale inarrestabile e, dall’altro, l’incidenza causale della mancata diagnosi di diabete da parte della Specialista di P.S.  

Conclusivamente la sentenza viene annullata agli effetti penali perché il reato è estinto per prescrizione; altresì viene annullata agli effetti civili con rinvio .

Alcune brevi riflessioni.

Iudex peritus peritorum è un brocardo latino che significa “Il Giudice è il perito dei periti”. Il Giudice, infatti, non è vincolato al risultato della perizia potendo discostarsi o disattendere del tutto le conclusioni cui è giunto il perito.

E’ anche vero però, che il Giudice non è peritus peritorum: ove non condivida le conclusioni dei Consulenti e sia necessario svolgere una indagine che presupponga particolari cognizione scientifiche, deve disporre una nuova perizia (in tal senso Cass. penale, n. 12026 del 14.4.2020).

Il Giudice del merito può trarre argomenti di convinzione dalla relazione del Consulente di parte, così come può non condividerne le conclusioni, privilegiando quelle rassegnate dal Consulente d’ufficio; tuttavia, ove egli intenda privilegiare le seconde rispetto alla prime, deve provvedere alla esposizione delle ragioni che lo hanno indotto a non ritenere valido il parere del Consulente di parte.

E’ del tutto in controtendenza, il principio risalente secondo cui il Giudice possa fare ricorso alla scienza privata in sede giudiziaria ove l’attività autonoma dello stesso non si limiti al riscontro di un fatto, ma comporti l’espressione di un giudizio fondato su specifiche competenze tecniche (cfr. Corte di cassazione, Sezione IV penale, 6 dicembre 2017, n. 54795; Corte di Cassazione Sezione VI penale, 5 luglio 2010, n. 25383).

Invero, il Giudice, a parere di chi scrive, deve essere garante dell’affidabilità delle basi scientifiche del giudizio, e ipotizzare che possa sostituirsi al Consulente sottrae al processo la funzione di vaglio critico degli elementi assumibili a base del giudizio. Ad ogni modo, concludendo, deve essere fornita adeguata dimostrazione, anche sotto il profilo del giudizio controfattuale, di aver potuto risolvere, sulla base di corretti criteri e di cognizione proprie, tutti i problemi tecnici connessi alla valutazione degli elementi rilevanti ai fini della decisione.

La decisione qui a commento spiega molto bene che il Giudice è sì custode e garante della scientificità della conoscenza espressa dai Tecnici nel processo, ma non è portatore di una propria conoscenza, rispetto a temi che richiedono cognizioni differenti da quelle giuridiche.

 Avv. Emanuela Foligno

Sei vittima di errore medico o infezione ospedaliera? Hai subito un grave danno fisico o la perdita di un familiare? Clicca qui o chiamaci al 800 332 771

Leggi anche:

Ritardo diagnostico e correlato reato di lesioni personali

- Annuncio pubblicitario -

LASCIA UN COMMENTO O RACCONTACI LA TUA STORIA

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui