Nello scrivere il presente articolo, vorrei dismettere i panni che mi sono propri, ovvero, quelli di avvocato specializzato nella difesa di medici e strutture sanitarie, ed indossare i semplici panni di uomo. Lo faccio perché il mio lavoro mi ha offerto spesso una visuale privilegiata su ciò che accade in studi medici e strutture, su quelle che sono le esigenze e difficoltà dei medici, ma, per fortuna, anche su tutte quegli splendidi eventi quotidiani che fanno si che la sanità italiana sia ancora oggi una delle eccellenze a livello mondiale. Intravedo molti sguardi sorpresi e molti lettori increduli,  e percepisco, mentre scrivo, i pensieri di chi mi considererà “di parte”, ma ciò che scriverò non può essere contraddetto perché fatto vero e non è che una goccia in un oceano di quotidiane buone pratiche.

Per mostrarvi ciò che ho la fortuna di vedere userò due fatti reali che si stanno svolgendo in questo preciso istante e che mostrano come, dinnanzi alla buona pratica e all’attenzione che i medici in questione hanno mostrato per ciò che io chiamo l “universo paziente” (inteso come insieme delle emozioni, delle paure, delle conoscenze spesso errate, dei sentimenti, che agitano l’animo di chi stando male si trova a dover affidare la propria persona a mani sconosciute), non v’è mancata informazione o errore medico che non si possano superare.

Il primo caso. Una persona di 83 anni, scopre attraverso alcuni esami di controllo e successivi approfondimenti radiologici, di essere affetta da tumore al pancreas. Tale patologia viene descritta come in fase iniziale e, nonostante i rischi connessi alla metodica operatoria, viene consigliato un intervento di resezione della testa del pancreas, unica parte che veniva indicata come interessata dalla patologia. Si decide, quindi, per l’intervento che avrebbe dovuto comportare un rischio stimato relativamente basso e una invasività ridotta come da descrizione che fu data in fase preoperatoria. Senonchè, è ciò mi ricorda una sentenza che ho di recente commentato, sul tavolo operatorio ci si accorge che la patologia era ben più estesa e, di conseguenza, i chirurghi hanno proceduto rimuovendo completamente il pancreas, la milza, e una parte dello stomaco con conseguente aumento dei rischi «intra e post» operatori, nonché della degenza che fu ben più lunga e complessa. Ad intervento finito, l’equipe, con garbo e con estrema precisione, spiegò senza alcuna fretta ciò che era successo e i motivi che li avevano spinti ad agire senza alcuna esitazione. Ebbene, dinnanzi a tali comportamenti, dinnanzi alla sincerità ed al sostegno che la presenza dei medici dava in quel momento di timore, a nessuno venne in mente di protestare, ripensare, chiedere eventuali danni. Oggi la anziana signora gode di buona salute e non ha avuto bisogno di alcun trattamento chemioterapico poiché, grazie a quello che, alla luce di certi orientamenti, era un comportamento da punire, nulla rimaneva su cui intervenire.

Il secondo caso riguarda, invece, una bimba di meno di un anno di età. La stessa è affetta da gravissime patologie che, di fatto, la rendono assolutamente inabile al benché minimo movimento ed è costretta ad alimentarsi tramite PEG e a vivere sotto costante osservazione cardiorespiratoria. La piccola, con i suoi genitori, hanno vissuto una ospedalizzazione di ben otto mesi nei quali la bimba ha ricevuto ogni forma di cura possibile ed ha fatto dei seppur minimi progressi che le consentono comunque di essere viva. Durante una seduta di fisioterapia (mobilitazione delle gambe) la dottoressa incaricata nel tentativo di fletterle una gambina, provoco una frattura del femore sopra il ginocchio con conseguente necessità di ingessatura. Il Primario del reparto ove avvenne il fatto, insieme alla dottoressa, nello scusarsi sinceramente per l’accaduto dissero che, se i genitori avessero voluto, avrebbero potuto far causa e nessuno si sarebbe opposto stante la realtà dei fatti accaduti.

La risposta del padre rappresenta il perfetto teorema del buon rapporto medico-paziente. Infatti, egli rispose che dopo otto mesi di cure sempre puntuali e attente, dopo otto mesi di gentilezza ricevuta, di sincerità e spiegazioni sia nel bene che nel male, non c’era davvero nulla per cui fare causa. Ed aggiunse, l’errore può capitare, e mai come in questo caso è stato effettuato con i migliori intenti di cura, ma se la manovra fosse riuscita oggi lui sarebbe stato lì a fare i complimenti alla dottoressa. Ebbene, di esempi come questi se ne potrebbero fare centinaia, ma ciò che deve rimanere nella mente di chi legge, è la parola “etica”. Quell’etica che, come espressione del rispetto verso il prossimo, deve re-impadronirsi dell’agire di ognuno. Dei medici nel confrontarsi, curare, informare e sostenere; dei pazienti nel comprendere, nel rispettare, nel valutare ciò che per la loro cura viene fatto, senza pregiudizi e partendo, nei confronti del medico, con una serena fiducia. Ricostruire un sano rapporto fra le parti è, quindi, il nuovo obiettivo; poiché dinnanzi ad un rapporto empaticamente ben costruito come dimostrato non v’è “consenso” che tenga.

                                                                                                              Avv. Gianluca Mari

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5 Commenti

  1. Sottolineare la “buona volontà” del paziente e del medico (sempre auspicabili) come argine alla contenziosità significa distrarre l’attenzione sulla genesi della medicina difensiva.
    Il nemico del medico non è il paziente ma il paziente deontologicamente scorretto, non è il consulente ma il consulente deontologicamente scorretto … l’avvocato deontologicamente scorretto, le Asl, l’Ordine dei Medici, il Ministero della Salute se assumono comportamenti deontologicamente scorretti.
    Tutto ciò è deducibile dall’art. 3, lett. g, D. Lgs. C.P.S. del 13 settembre 1946, n. 233.
    L’impressionante numero di cause vinte dai medici ed il fatto che le cause frivole ed inutili siano: “in percentuale molto rilevante e rappresentano tentativi di arricchimento …” (Procuratore Nordio) dovrebbe far ritenere che sia venuto a mancare quel controllo deontologico tra medici, tra medico e paziente, tra medico ed enti deducibile dal decreto soprariportato.
    La revisione deontologica delle cause medico-legali è la via tracciata dal legislatore del 1946 per arginare la contenziosità.
    https://www.youtube.com/watch?v=Uz-WyNELvUo
    Saluti
    Dott. Arnaldo Capozzi

  2. Gentile Dottore, spero che l’articolo che ho scritto non abbia fatto trasparire il concetto dell’essere medici e pazienti “nemici”. Condivido la Sua lettilura e, a riguardo Le suggerisco di leggere cio’ che ho scritto in tema di correttezza delle parti e dei loro legali, cosi’ come dei consulenti. Sono certo che cio’ Le mostrera’ quanto simili siano le nostre visioni sul problema. Tuttavia il richiamo ad un rapporto che sia sano e pienamente collaborativo fra medici e pazienti, nel quale credo realmente, costituira’ un ulteriore garanzia dinnanzi ai comportamenti “discutibili” di chi agita le masse e continua a cavalcare l’onda della responsabilita’ medico-sanitaria.
    Cordialita’.
    Avv. Gianluca Mari

  3. I miliardi della medicina difensiva esigono una chiara presa di posizione e, comunque, perché dimenticare le migliaia di cause già concluse con la compensazione delle spese di lite o concluse a favore del medico? E non si farà nulla per le prossime migliaia di cause che si concluderanno allo stesso modo?
    La lotta alla medicina difensiva comincia dalle sentenze da usare come puntello per la revisione deontologica del comportamento del consulente e dell’avvocato di parte. Con questa iniziativa, in tre mesi lavorativi, ho riunito undici studi di avvocati e tra breve molti, soprattutto giovani avvocati, comprenderanno ciò che appare come un nuovo, invitante, business.
    Ma vi è anche un altro aspetto. Sembra che il medico abbia dimenticato che il consulente di parte risponde, deontologicamente parlando, delle libertà espressive dell’avvocato (che spesso sfociano in problematiche deontologiche di ordine medico). Vedasi la necessaria “correttezza morale” richiesta nell’attività medico-legale (art. 64 C.D. medico) o il principio di “rispetto reciproco” dell’art. 58. Ebbene, tale aspetto potrebbe essere utilissimo durante la mediazione obbligatoria.
    Saluti

    • Carissimo Arnaldo condivido il tuo principio e ne sarei promotore ove si formasse una squadra “credibile” che abbia pensieri condivisi. Questa testata giornalistica sarà a tua disposizione per ogni sostegno “comunicativo”, nella speranza di raggiungere un unico obiettivo: “terzietà e moralità”.
      Cari saluti e buon lavoro

  4. Gentile Dott. Capozzi, mi piacerebbe averLa presente nella platea di uno dei Congressi nei quali ho l’onore di parlare proprio della gestione e prevenzione del rischio giudiziario per i medici e nei quali mi sforzo di fornire a chi ascolta gli strumenti per tentare di sovvertire quello che, dopo anni di sentenze orientate sempre e comunque verso il paziente, anche al di là dei reali diritti dello stesso, è ormai diventato un adagio… “fare causa ad un medico è conveniente perchè tanto qualcosa la si prende sempre”. Nei miei atti non manca mai una parte nella quale tento di focalizzare l’attenzione del giudicante sul problema delle cause speculatorie e sulla necessità di un cambio di rotta deciso. Del pari qualsiasi nefandezza medica o giuridica non passa inosservata e viene stigmatizzata sotto tutti i punti di vista. Sono certo che le nostre strade si incontreranno nel perseguimento del comune risultato. Se volesse approfondire il comune pensiero non ha che da contattarmi tramite la redazione.
    Saluti.
    Avv. Gianluca Mari

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