Aveva afferrato per un braccio l’ex compagna, mentre erano nella sala fumatori di una discoteca, per avere chiarimenti sulla fine della loro relazione; poi la denuncia e il processo penale per violazione di domicilio, ingiuria e il tentativo di violenza privata

In primo grado questi veniva condannato per tutti i delitti a lui ascritti; diversamente la sentenza d’appello riconosceva soltanto il delitto tentato di violenza privata nei confronti della sua ex partner.

L’intero impianto accusatorio e poi le sentenze di condanna erano basate sulla ricostruzione dei fatti offerta dalla vittima, la cui attendibilità era stata confermata dal racconto logico, coerente e privo di contraddizioni.

Quindi il ricorso per Cassazione.

Anche i giudici della Suprema Corte confermano il giudizio già operato nel merito, dalla Corte territoriale; e, dopo aver ricordato che il proprio compito non consiste in una “rilettura” degli elementi posti a fondamento della decisione impugnata la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, (Sez. Un., 30/4-2/7/1997, n. 6402, Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003), ha affermato che la motivazione della sentenza impugnata doveva considerarsi priva di manifesti vizi logici, posto che la ricostruzione dei fatti offerta dalla persona offesa non aveva trovato smentita in alcuna delle ulteriori emergenze di causa; essa perciò, doveva ritenersi altresì, dotata di coerenza e logicità, illustrando che la condotta dell’imputato nel cercare, in vari modi (e, quindi, anche cercando di condurla nella sala fumatori della discoteca) di ottenere dalla vittima spiegazioni per la fine della loro relazione a cui, evidentemente, non si era rassegnato, integrava il delitto di tentata violenza privata.

Quanto alla pena, anch’essa oggetto di gravame dal momento che la Corte territoriale aveva incorporato la diminuzione della sanzione prevista per il tentativo nella misura della pena base, la Corte risponde in questi termini: la determinazione della pena nel caso di delitto tentato può essere effettuata con il cosiddetto metodo diretto o sintetico, ossia senza operare, per l’individuazione della cornice edittale la diminuzione sulla pena fissata per la corrispondente ipotesi di delitto consumato (Sez. 3, n. 12155 del 10/11/2016).

Il tema della violenza privata adoperata tra persone legare da una relazione amorosa è continuamente oggetto di pronunce giurisprudenziali.

Di recente, il Tribunale di S. Maria Capua Vetere si è espresso proprio in tal senso, affermando che la forza esercitata per costringere la persona offesa ad una determinata azione integra il reato di violenza privata (sez. II, 06/09/2018, n. 3351).

Il delitto di violenza privata si consuma invero, ogni qual volta l’autore con la violenza o con la minaccia lede il diritto del soggetto passivo di autodeterminarsi liberamente, costringendolo a fare, tollerare od omettere qualcosa. Al contrario della minaccia, che ha natura formale, la violenza privata è un reato di danno, nel quale la condotta sanzionata si realizza con la coartazione della volontà altrui e l’evento lesivo si concretizza nel comportamento coartato di colui che l’ha subito (fattispecie relativa alla condotta dell’imputato che irrompeva nella pizzeria della persona offesa prendendo da mangiare e bere senza permesso per poi pagare nei giorni successivi; Cass. sent. n. 25239/2018).

Se questo è vero non sarà difficile convenire con la soluzione adottata dai giudici della Cassazione, in relazione alla vicenda in commento.

 

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