La legge 135 del 1990 ha segnato una svolta nella prevenzione e nella lotta all’AIDS in Italia, stabilendo i criteri normativi in materia di accesso al test diagnostico, di assistenza delle persone affette da AIDS e di tutela e diritti degli individui positivi all’HIV. Tale legge, in particolare, prevede che ci si possa sottoporre al test HIV liberamente nelle strutture preposte, in forma gratuita, previo consenso informato e garantendo la riservatezza dei dati personali per coloro che si sottopongono al test.

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Chi può accedere liberamente al test per HIV in Italia? Non tutti. Le direttive sulla somministrazione del test prevedono infatti che i minori possano sottoporvisi solo previo consenso dei genitori o dei tutori legali. Soltanto i minori che hanno contratto un matrimonio, dunque di almeno 16 anni, non necessitano di tale consenso obbligato. La legislazione vigente prevede tuttavia un’alternativa al consenso di genitori o tutori. Infatti, nel caso di un minore che voglia sottoporsi al test HIV ma che dimostri difficoltà nell’ottenere o richiedere il consenso, è possibile fare ricorso a un giudice dei minori che stabilirà quindi se permettere l’accesso al test senza che i genitori o tutori ne vengano a conoscenza.

Ora, come ricordato più volte in occasione della recente Giornata Mondiale per la lotta all’AIDS, il test HIV costituisce uno strumento fondamentale non solo per la prevenzione della diffusione del virus tra la popolazione ma, in particolare, per eseguire una terapia adeguata in caso di sieropositività. Si stima che in Italia vi siano numerose persone inconsapevolmente positive all’HIV, una previsione riconfermata dal fatto che il 30% delle persone che eseguono il test per l’HIV si trovano in una fase «già avanzata di malattia» e che, tra le diagnosi di AIDS, il 60% è caratterizzato da un «riconoscimento tardivo dell’infezione da HIV» (fonte: Documento di consenso sulle politiche di offerta e le modalità di esecuzione del test per HIV in Italia).

Al contrario, una diagnosi precoce dell’infezione permette di iniziare la terapia antiretrovirale che, da un lato, tiene sotto controllo il virus rispetto alla conclamazione in AIDS; dall’altro, riduce drasticamente la carica virale nel sangue, abbassando così del 96% la possibilità di contagio da parte delle persone sieropositive. Sulla base di tali considerazioni, le strategie attuali nella lotta all’AIDS si concentrano, a livello internazionale, sull’incentivare la pratica del test HIV, soprattutto in categorie di popolazione ritenute particolarmente vulnerabili, oltre che a favorire la conoscenza di strumenti di prevenzione, come preservativo maschile e femminile (Femidon), conoscenza che passa anche per un’adeguata educazione sessuale e affettiva nelle scuole sin dalla giovane età.

Le strategie attuali su prevenzione e diagnosi precoce, in Italia, sono soddisfacenti? No, secondo la LILA – Lega Italiana per la Lotta all’AIDS, il cui Presidente Massimo Oldrini è stato firmatario di una recente lettera aperta su questi temi indirizzata al Presidente della Repubblica Mattarella, dove la LILA richiama l’attenzione su alcune carenze importanti nella lotta all’AIDS in Italia. A fronte dell’importanza fondamentale di una diagnosi precoce dell’HIV e in un quadro di attenzione particolare alla prevenzione, ci si può chiedere dunque se le limitazioni per l’accesso al test HIV per i minori costituiscano una misura appropriata.

Una possibile risposta a tale questione può far leva sulla marginalità dei numero dei minori nelle ultime statistiche sull’incidenza dell’HIV in Italia. Si può sottolineare, infatti, lo scarso numero di casi nell’ultimo anno costituito da soggetti minorenni, di cui in parte contagiati per via verticale (da madre a figlia/o). Tuttavia, questo stesso appello ai dati conferma che i casi di contagio tra i minori non è inesistente, sebbene costituisca certamente una minoranza. Se consideriamo poi che tali dati sono raccolti nel quadro delle direttive vigenti, che prevedono quindi una limitazione nell’accesso al test, l’appello alle statistiche sembra ancora meno valido.

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Si potrebbe anzi interpretare come un segno della criticità degli ostacoli imposti ai minori: non possono accedere liberamente, dunque non abbiamo dati. Su questi temi la LILA, come ha detto il Presidente Oldrini, assieme anche ad altre associazioni, ha assunto posizione in favore di un ampliamento dell’accesso libero e gratuito anche ai minorenni, come si legge nel documento di consenso sulle politiche di offerta e le modalità di esecuzione del test per HIV in Italia.

Ma qual è il fulcro della questione? Un elemento chiarificatore si trova in un documento della Regione Piemonte che emana alcune direttive sulle prassi da seguire a livello regionale nella somministrazione del test per l’HIV, dove si specifica il caso di soggetti minorenni. Seguendo tale documento, sembra che il discorso sulle limitazioni o meno per i minori riguardo al test HIV ruoti attorno alla questione del consenso informato. Infatti, in Italia, per qualunque prassi medica riguardante individui al di sotto dei 18 anni, il consenso informato è demandato ai genitori, di cui si richiede un parere unanime, oppure ai tutori legali. In questo senso, le restrizioni nel caso del test per l’HIV sembrano ovvie.

Tuttavia, le normative sul consenso informato per i minori prevedono alcune eccezioni. Tali eccezioni riguardano l’interruzione volontaria di gravidanza, per cui si prevede la possibilità di appello al giudice dei minori (ciò che ha dato luogo, d’altronde, a casi di rifiuto da parte del giudice di approvare l’IVG); per richieste di assistenza da parte di minori in caso di abusi di sostanze stupefacenti, in riferimento per esempio ai SERT; infine, rientrano tra queste eccezioni i test diagnostici per le malattie a trasmissione sessuale.

In questo senso, possiamo leggere nel documento della Regione Piemonte, che la «dottrina in materia di diritti dei minori fa riferimento anche alla “autodeterminazione debole del minore” che assume rilevanza significativa in materia di accertamenti diagnostici qualora vi siano sintomi di insorgenza di malattia trasmessa sessualmente ai sensi dell’art. 4 Legge 25 luglio 1956 n.837 (abrogata dall’art. 24, D.L. 25 giugno 2008, n. 112) e degli artt. 9-14 D.P.R. 2056/62, rispettivamente Legge e regolamento per la profilassi delle malattie veneree». L’appello all’«autodeterminazione debole del minore» si rivela così uno strumento di contrasto alle direttive vigenti.

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Come uscire da questo impasse? La risposta potrebbe trovarsi nella possibilità del test fai-da-te disponibile liberamente all’acquisto, non ancora approvato in Italia. In questo senso, la Francia ha per esempio segnato un altro passo nella lotta all’AIDS, sulla scia di USA e Inghilterra, rendendo disponibile da settembre in tutte le farmacie il test fai-da-te basato su sangue capillare, acquistabile da chiunque e senza prescrizione medica, ad un costo di circa 25 euro. Come si legge in numerosi comunicati al riguardo, oltre a mirare a una diffusione sempre maggiore del ricorso al test, tale misura prevede esplicitamente di estendere tale pratica ai soggetti minorenni.

La portata di un’apertura al test fai-da-te va naturalmente ben oltre la questione dei minori. Come ci dice il Presidente di LILA Oldrini, il test fai-da-te costituisce un avanzamento fondamentale nella diagnosi precoce dell’HIV, e dunque nella lotta alla diffusione, che passa anche per azioni che portino il test «fuori dai reparti di malattie infettive», favorendone così il ricorso tra la popolazione (in questa direzione vanno d’altronde le campagne di prevenzione della LILA stessa e di altre associazioni). Si registra invece a livello istituzionale un «ostracismo» nei riguardi del test fai-da-te, che si manifesta per esempio in dichiarazioni ufficiali sulla scarsa attendibilità dei test salivari già acquistabili on-line, proprio in quanto acquistabili su internet e dunque non certificati dal Ministero. Il paradosso, qui, è evidente.

Fra le critiche alla possibilità dei test fai-da-te vi è talvolta quella della mancanza di un fondamentale riferimento immediato al personale medico, sia in caso di negatività al virus, per cui è prassi un colloquio sulla prevenzione; sia, in caso di positività, per la presa in carico della persona che si scopre portatrice di HIV. Ma la LILA stessa, proprio nel favorire l’approvazione del test fai-da-te, è sensibile a tale questione, come sottolinea Oldrini, e suggerisce l’importanza di creare, in caso di approvazione del test fai-da-te, un dispositivo di riferimento adatto alle esigenze di chi si volesse sottoporre a tale test.

Le ragioni alla base delle attuali restrizioni ai minori nell’accesso al test per l’HIV si rivelano quindi più opache di quanto sembri. Se pensiamo poi all’arretratezza che caratterizza l’Italia per quanto riguarda l’educazione sessuale e affettiva nelle scuole, la questione sembra di portata ancora maggiore, disegnando un quadro che non sembra rendere conto dei grandi cambiamenti sociali e culturali che caratterizzano la sfera della sessualità.

Dott.sa Miranda Boldrini

Dipartimento di Filosofia – Università di Roma La Sapienza

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