In caso di perdita del rapporto parentale, ciascuno dei familiari superstiti ha diritto a una liquidazione comprensiva di tutto il danno non patrimoniale subito, in proporzione alla durata e intensità del vissuto

La Corte d’appello di Catanzaro aveva condannato la società datrice di lavoro a risarcire gli eredi di un proprio dipendente, di tutti i danni patiti per la perdita del loro congiunto, deceduto a seguito di un grave infortunio sul lavoro occorso nel 1992.

Contro tale sentenza la società ha proposto ricorso per cassazione, lamentando tra gli altri motivi, il vizio di extrapetizione, avendo la corte di merito quantificato il danno per perdita parentale in misura di gran lunga superiore a quanto richiesto ed avendo, inoltre, applicato criteri presuntivi sulle circostanze necessarie a legittimare la pretesa perdita del rapporto parentale sulle quali mancava, tuttavia, ogni prova concreta, con particolare riferimento alla relazione di convivenza fra i parenti e la vittima del sinistro.

La Terza Sezione Penale della Cassazione (sentenza n. 20287/2019) ha respinto il ricorso perché manifestamente infondato.

Invero, dall’esame delle conclusioni formulate in primo grado era emerso che la domanda avanzata dai ricorrenti fosse riferita, in modo omnicomprensivo, a tutti i danni derivanti dalla morte del loro congiunto per la cui quantificazione era stata invocata anche l’equità.

Conseguentemente, la decisione impugnata era stata correttamente assunta sulla base dei poteri di qualificazione della domanda, esercitati dal giudice di merito con riferimento alle emergenze processuali che avevano consentito di accertare la fondatezza della domanda risarcitoria, ricorrendo il lamentato danno subito dai parenti iure proprio a seguito del decesso del lavoratore.

La Corte di merito aveva, in particolare, tenuto conto dello stretto legame fra gli appellanti e la vittima del sinistro (moglie e figli, uno dei quali minorenne, e, comunque, anche gli altri di giovane età) che aveva consentito di applicare il criterio presuntivo per affermare la lesione dell’affectio ed il turbamento derivante dalla morte del congiunto.

La valutazione del giudice di merito

Peraltro, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità “il principio “iura novit curia“, di cui all’art. 113 c.p.c., comma 1, importa la possibilità per il giudice di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti ed ai rapporti dedotti in lite, nonchè all’azione esercitata in causa, ricercando le norme giuridiche applicabili alla concreta fattispecie sottoposta al suo esame. Tale principio deve essere posto in immediata correlazione con il divieto di ultra o extra-petizione, di cui all’art. 112 c.p.c., in applicazione del quale è invece precluso al giudice pronunziare oltre i limiti della domanda e delle eccezioni proposte dalle parti, mutando i fatti costitutivi o quelli estintivi della pretesa, ovvero decidendo su questioni che non hanno formato oggetto del giudizio e non sono rilevabili d’ufficio, attribuendo un bene non richiesto o diverso da quello domandato.” (Cass. 8645/2018; Cass. 30607/2018; Cass. 12943/2012; Cass. 25140/2010).

Nel caso di specie, la Corte territoriale si era rigorosamente attenuta ai fatti costitutivi dedotti in giudizio, qualificando correttamente la domanda ed accogliendola nella misura di quanto dimostrato dall’istruttoria svolta e sulla base dei poteri di valutazione delle prove che includevano il ricorso alle presunzioni.

Il risarcimento dal danno da perdita del rapporto parentale

La Corte di Cassazione ha altresì rigettato, perché priva di fondamento, la doglianza relativa al riconoscimento del danno parentale come danno in re ipsa e non come danno conseguenza.

Ebbene, al riguardo, è stato ribadito che “il danno morale/esistenziale per la perdita del congiunto non configura un danno in re ipsa ma è la conseguenza negativa e pregiudizievole, in capo ai congiunti, dell’evento che ha causato il decesso della vittima, la cui dimostrazione può certamente essere fondata su presunzioni. Dal fatto noto costituito dal legame familiare (che, nel caso in esame, era rappresentato dallo stretto vincolo affettivo tipico di una famiglia nucleare) è desumibile, infatti, quello ignoto, caratterizzato da intensità diverse e peculiari proprie dei legami di coniugio e filiazione sull’esistenza dei quali spetta alla controparte la prova contraria di situazioni idonee a contraddire l’unità, la continuità e l’intensità dei legami, soprattutto ove essi si snodino, come nel caso in esame, all’interno del nucleo ristretto”.

In passato sono stati affermati, al riguardo, i seguenti principi di diritto:

  • “il danno non patrimoniale, consistente nella sofferenza morale patita dal prossimo congiunto di persona lesa in modo non lieve dall’altrui illecito, può essere dimostrato con ricorso alla prova presuntiva ed in riferimento a quanto ragionevolmente riferibile alla realtà dei rapporti di convivenza ed alla gravità delle ricadute della condotta.”(Cass. 2788/2019);
  • “in caso di fatto illecito plurioffensivo, ciascun danneggiato – in forza di quanto previsto dagli artt. 2,29,30 e 31 Cost., nonchè degli artt. 8 e 12 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e dell’art. 1 della cd. “Carta di Nizza” – è titolare di un autonomo diritto all’integrale risarcimento del pregiudizio subito, comprensivo, pertanto, sia del danno morale (da identificare nella sofferenza interiore soggettiva patita sul piano strettamente emotivo, non solo nell’immediatezza dell’illecito, ma anche in modo duraturo, pur senza protrarsi per tutta la vita) che di quello “dinamico-relazionale” (consistente nel peggioramento delle condizioni e abitudini, interne ed esterne, di vita quotidiana). Ne consegue che, in caso di perdita definitiva del rapporto matrimoniale e parentale, ciascuno dei familiari superstiti ha diritto ad una liquidazione comprensiva di tutto il danno non patrimoniale subito, in proporzione alla durata e intensità del vissuto, nonchè alla composizione del restante nucleo familiare in grado di prestare assistenza morale e materiale, avuto riguardo all’età della vittima e a quella dei familiari danneggiati, alla personalità individuale di costoro, alla loro capacità di reazione e sopportazione del trauma e ad ogni altra circostanza del caso concreto, da allegare e provare (anche presuntivamente, secondo nozioni di comune esperienza) da parte di chi agisce in giudizio, spettando alla controparte la prova contraria di situazioni che compromettono l’unità, la continuità e l’intensità del rapporto familiare” (Cass. 9231/2013; Cass. 14655/2017).

Nel caso in esame, la Corte territoriale aveva correttamente applicato tali principi, perciò il ricorso è stato definitivamente rigettato con conseguente condanna del ricorrente alla refusione delle spese di giudizio sostenute dalle controparti.  

La redazione giuridica

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