In caso di presunta malpractice medica, il paziente deve provare contratto, insorgenza o aggravamento della patologia e allegare specifiche inadempienze riconducibili al danno lamentato

“Sotto il profilo probatorio, in tema di responsabilità contrattuale del medico (così com’anche della struttura sanitaria) nei confronti del paziente, ai fini del riparto del relativo onere il paziente deve provare la esistenza del contratto (o il contatto sociale qualificato) e l’insorgenza o l’aggravamento della patologia con l’allegazione di qualificate inadempienze, astrattamente idonee a provocare (quale causa o concausa efficiente) il danno lamentato, restando poi a carico del sanitario convenuto l’onere di dimostrare che nessun rimprovero di scarsa diligenza o di imperizia possa essergli mosso, o che, pur essendovi stato un suo inesatto adempimento, questo non abbia avuto alcuna incidenza causale sulla produzione del danno. Il paziente ha, dunque, solo l’onere di allegare (ma non di provare) la colpa del medico; quest’ultimo, invece, ha l’onere di provare che l’eventuale insuccesso dell’intervento, rispetto a quanto concordato o ragionevolmente attendibile, è dipeso da causa a sé non imputabile.” In tali termini si è pronunciato il Tribunale di Chieti (Sentenza n. 433 del 3 agosto 2020) nella interessante caso di presunta malpractice medica oggetto del presente commento.

Il paziente eseguiva presso l’Ospedale cittadino cistoscopia che evidenziava una neoformazione occupante la cupola vescicale, cui seguiva intervento chirurgico per TURB.

Successivamente il paziente veniva sottoposto ad intervento di cistoprostatectomia ed uereterocutaneostomia bilaterale con incisione sovraombelicopubica; entrambi gli ureteri venivano incannulati con cateteri di Bracci-Soch, mentre, all’esito dell’intervento, venivano lasciati due drenaggi nello scavo pelvico.

L’esame istologico eseguito di routine deponeva per adenocarcinoma ben differenziato infiltrante.

La fase operatoria si caratterizzava per intenso malessere e dolore addominale a causa di pelvi peritonite da perforazione del sigma-retto in esiti di cistoprostatectomia, deiscenza della ferita laparotomica e distacco dell’uretero-cutaneo-stomia sinistra.

Dopo circa un mese il paziente veniva dimesso, ma il quadro metabolico generale andava incontro a peggioramento, soprattutto a seguito di episodio di scompenso cardiaco congestizio da cui discendeva un aggravamento della insufficienza renale cronica e della pregressa epatopatia cronica HCV-correlata.

La causa veniva istruita attraverso C.T.U. Medico-legale che deponeva per malpractice medica nell’esecuzione dell’intervento chirurgico sopra indicato sotto un duplice profilo: “perforazione iatrogena del terzo distale del sigma-retto nel corso dell’intervento chirurgico del 20.05.2013 di cistoprostatectomia radicale (l’operatore avrebbe dovuto prestare attenzione e cautela nello scollare la vescica dal retto prima della cistectomia), oltre che omessa tempestiva procedura reinterventistica chirurgica” a seguito del primo intervento e riconosceva un danno biologico permanente nella misura del 40%.

Nel corso del giudizio il paziente decedeva e con testamento olografo attribuiva un legato di credito – alla moglie e alle figlie- sulle somme eventualmente ottenute, nell’odierna sede, a titolo risarcitorio.

Ciò posto, al paziente spetta il ristoro del danno non patrimoniale di tipo biologico di € 224.148,10, comprensivo di personalizzazione al 10%.

Difatti, il Tribunale ritiene che l’errore dei sanitari ha comportato per il paziente uno “sconvolgimento della sua esistenza, il cambiamento di vita, la forzosa rinuncia allo svolgimento di attività ordinarie quali curare il giardino, fare del bricolage, passeggiare dopo i pasti, andare al mare in estate e in montagna in inverno, viaggiare, etc., attività che in passato erano fonte di profondo compiacimento e di benessere per il danneggiato e che oggi non sono più praticabili o comunque risultano fortemente compresse a causa dei disturbi psico-fisici, con lesione del diritto al libero dispiegarsi delle attività dell’attore e alla libera esplicazione della sua personalità”.

Sottolinea ulteriormente che “il reintervento chirurgico, posto in essere per il trattamento riparativo della lesione, veniva eseguito in ritardo rispetto ai segni clinici presentati dal paziente” e che “la perforazione del sigma-retto deve essere considerata quale lesione accidentale dell’intestino in corso di scollamento della vescica, quindi classicamente definibile come lesione intraoperatoria, operatore dipendente, e non già come complicanza postoperatoria.”

L’azienda ospedaliera non ha dimostrato un’eccezionale, inescusabilmente grave, del tutto imprevedibile devianza del Sanitario dal programma condiviso di tutela della salute che è oggetto dell’obbligazione, conseguentemente è gravata del relativo risarcimento dei danni.

Il Tribunale dichiara compensate nella misura di 1/3 le spese di lite con condanna dell’Azienda Ospedaliera al pagamento della restante frazione, e pone integralmente a carico dell’Azienda le spese di C.T.U.

Avv. Emanuela Foligno

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