Secondo gli Ermellini, rischia il licenziamento il dipendente che aggredisce fisicamente la collega per futili motivi.

La Cassazione, sesta sezione civile, nell’ordinanza n. 19458/2018 fa il punto sul rischio di licenziamento per chi si rende responsabile di una aggressione alla collega.

Per gli Ermellini, infatti, può perdere il lavoro il dipendente che discute con una collega e la aggredisce per futili motivi.

La sanzione per i giudici è proporzionata. Specie tenuto conto della condotta del lavoratore e della sua mancanza di autocontrollo nei confronti della persona con cui ha discusso.

La vicenda

Nel caso di specie, la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso di un dipendente d’azienda. Costui aveva impugnato il licenziamento disciplinare intimatogli per essersi reso responsabile di una aggressione alla collega.

Davanti ai giudici, il lavoratore ha parlato di incongruità. In primis, in relazione all’iter logico giuridico in base al quale la Corte territoriale è giunta al convincimento sulla raggiunta prova dell’addebito.

A suo avviso, infatti, non sarebbe tarato sul contenuto della contestazione, bensì fuorviato dall’omessa valutazione dell’attendibilità della teste vittima dell’aggressione.

Inoltre, l’incongruità lamentata si riferiva al giudizio legato alla proporzionalità della sanzione irrogata rispetto all’addebito contestato. Un giudizio, a suo dire, operato in difformità dai criteri giurisprudenziali.

I giudici hanno affermato però come la riferibilità dell’addebito al ricorrente, almeno per quel che riguarda la aggressione alla collega, risulti sorretto dalla narrazione della vicenda da parte di un’altra testimone, ritenuta attendibile.

La stessa, infatti, aveva avuto cognizione diretta ed integrale dell’episodio e non contestata in sede di legittimità.

Dinanzi alla Corte, dunque, l’uomo ha contestato la sola attendibilità della testimonianze della vittima dell’aggressione.

Per tale ragione risultano incoerenti le censure da lui sollevate. Esse non riguardano il contenuto della testimonianza, ritenuta dirimente, di una terza persona che aveva assistito alla scena.

Infine, gli Ermellini hanno ritenuto inammissibili anche le censure del ricorrente sulla proporzionalità della sanzione. Ciò in quanto la Corte territoriale aveva posto specifica attenzione a tale profilo.

Alla luce di quanto esposto, i giudici a quo hanno dato risalto all’incapacità di autocontrollo mostrata dal ricorrente. Soprattutto in relazione all’ambiente in cui si trovava. Nonché alla persona con la quale era venuto a diverbio e alle futili ragioni che lo muovevano.

Tutti questi elementi hanno inciso notevolmente sul piano dell’affidamento sul futuro rispetto della disciplina aziendale e delle regole del vivere civile.

 

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