L’istituto scolastico non è un luogo di privata dimora per cui non ricorre l’ipotesi dell’art. 266 c.p.p.: ammesse sono le riprese video per incastrare gli autori di maltrattamenti, ai danni di minori

La vicenda

Il Giudice per le indagini preliminari di Bari aveva disposto la misura degli arresti domiciliari a carico di una maestra di scuola materna per l’infanzia che, in concorso con altri tre insegnanti, era stata accusata del delitto di maltrattamenti ai danni degli alunni della stessa scuola.
Il Tribunale del riesame, aveva poi convertito tale misura cautelare con quella del divieto di esercitare la professione di insegnante e di educatore per un periodo di dodici mesi.
Le indagini erano partite a seguito di una denuncia sporta dalla madre di un minore a cui si erano aggiunte le dichiarazioni di altri genitori, nonché le intercettazioni audio-video operate presso la struttura educativa.
Sulla scorta di siffatto materiale probatorio, i giudici della fase cautelare non avevano avuto dubbi nel ritenere sussistente la gravità indiziaria a carico dei quattro indagati, con riguardo ad una serie di episodi di maltrattamenti perpetrati all’interno della scuola materna su minori, tutti di età compresa tra i tre e i quattro anni.
Le riprese video raccolte dagli inquirenti, ritraevano “il palese clima di tensione emotiva sistematicamente instaurato all’interno della scuola”: urla, spintonamenti, strattonamenti, trascinamenti dei bambini fino a farli urlare o cadere, schiaffi sulle mani, colpi e schiaffi sul capo, rimproveri insultanti. Reazioni esagerate da parte degli insegnanti aventi ad oggetto la punizione e la correzione degli alunni, nonché episodi di compressione della libertà di locomozione certamente sproporzionati rispetto alle cause e alle finalità perseguite.
Si trattava, in altre parole, di mezzi senza dubbio lesivi della dignità degli alunni, umiliati per quei metodi di correzione di natura fisica, psicologica e morale che non si addicono ad un contesto educativo qual è quello della istituzione scolastica.

Il ricorso per Cassazione

Ebbene a seguito del ricorso per cassazione presentato da uno degli avvocati dei quattro insegnanti, i giudici della Cassazione, hanno ribadito importanti concetti inerenti alla materia delle cd intercettazioni ambientali.
Preliminarmente, hanno chiarito che gli istituti scolastici di istruzione non sono configurabili quali «luoghi di privata dimora, nell’ambito del quale rientrano esclusivamente i luoghi non aperti al pubblico, né accessibili a terzi senza il consenso del titolare e nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata» (Cass. Sez. 5, n. 51113 del 2017).
Per tali motivi, correttamente, il Tribunale del riesame di Bari aveva ritenuto che il provvedimento autorizzativo posto a fondamento delle attività di intercettazione audio e video eseguite presso l’istituto di istruzione ove si erano svolti i fatti oggetto di addebito, era rispettoso dei limiti stabiliti dall’art. 266 c.p.p., perché, come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, non trattandosi di una privata dimora non ricorreva l’ipotesi prevista dal comma 2 del citato articolo (“Negli stessi casi è consentita l’intercettazione di comunicazioni tra presenti , che può essere eseguita anche mediante l’inserimento di un captatore informatico su un dispositivo elettronico portatile. Tuttavia, qualora queste avvengano nei luoghi indicati dall’articolo 614 del codice penale, l’intercettazione è consentita solo se vi è fondato motivo di ritenere che ivi si stia svolgendo l’attività criminosa”).
Per queste ragioni, è stata confermata la misura cautelare a carico dei quattro indagati.

La redazione giuridica

 
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