Annullamento dei benefici della Legge 104 (Cassazione civile, sez. lav., 31/07/2023,  n.23285).

Respinta la domanda volta ad accertare la illegittimità del provvedimento di annullamento dei benefici della Legge 104.

La Corte d’Appello di Perugia respingeva la domanda proposta nei confronti del Comune di Assisi per l’accertamento dell’illegittimità del provvedimento di annullamento dei benefici L. n. 104 del 1992, ex art. 33, comma 3, adottato dal Comune e della trattenuta mensile operata dallo stesso per recuperare le somme versate alla dipendente per i giorni di permesso dall’aprile 2007 al gennaio 2010.

Il Comune di Assisi aveva chiesto alla lavoratrice  il pagamento di Euro 5.479,09, pari alla retribuzione percepita nel periodo di fruizione dei permessi ex L. n. 104 del 1992 e a partire dal dicembre 2011 aveva iniziato a trattenere dalla retribuzione della dipendente la somma di euro 250,00 mensili.

Contro tale provvedimento veniva esperita  procedura d’urgenza ex art. 700 c.p.c., richiedendone la sospensione. Nel corso della procedura le parti raggiungevano un accordo riducendo le trattenute dalla retribuzione da euro 250,00 mensili ad euro 150,00 mensili.

Successivamente la donna si rivolgeva nuovamente al Tribunale di Perugia, chiedendo, previo accertamento dell’illegittimità del provvedimento di annullamento dei benefici, la condanna alla restituzione delle somme trattenute mensilmente sulla retribuzione. Il Tribunale accoglieva la domanda.

La Corte di Appello, invece, respingeva la domanda della lavoratrice.

Rilevava che la madre della lavoratricee aveva ottenuto il certificato di invalidità il 5 luglio 2006 dalla Commissione di prima istanza, mentre il certificato di handicap grave era stato rilasciato dalla Commissione dell’ASL solo il 22 gennaio 2010. Solo quest’ultimo verbale, e non anche il primo, permetteva alla lavoratrice di usufruire del beneficio ex art. 33 Legge 104 e che, pertanto, la domanda di concessione, presentata il 29 marzo 2007, non era idonea, con conseguente diritto del Comune a recuperare le somme indebitamente erogate alla dipendente dal 2007 al 2010.

Ricorre per la cassazione della sentenza la lavoratrice sulla base di due motivi.

Con il primo motivo si censura omessa valutazione del legittimo affidamento generato dal Comune per aver corrisposto per molto tempo (circa quattro anni) alla lavoratrice il beneficio richiesto e sulla buona fede della lavoratrice che ha riposto fiducia nello stato di apparenza “iuris”, anche in considerazione della inesperienza in materia di diritto.

Con il secondo motivo la ricorrente sostiene che la situazione patologica della madre accertata nel 2006 è sostanzialmente sovrapponibile rispetto a quella accertata nel 2010, e quindi, al di là della formale dicitura di “handicap grave”, già si possedevano i presupposti legittimanti la richiesta dei permessi L. n. 104 del 1992, ex art. 33, comma 3.

Il primo motivo è infondato.

Non è illegittima la omessa previsione dell’irripetibilità dell’indebito retributivo e previdenziale non pensionistico, laddove le somme siano state percepite in buona fede e la condotta dell’ente erogatore abbia ingenerato nel percettore un legittimo affidamento circa la loro spettanza.

Nello specifico, la buona fede dell’accipiens, a termini di detta norma, rileva solo ai fini della restituzione degli interessi.

Venendo alla seconda censura, i due certificati sono diversi e servono per ottenere benefici diversi, come diversi sono i presupposti per ottenere lo status di invalido civile, o lo stato di handicap grave; conseguentemente non possono essere considerati “sovrapponibili”.

La Legge 104, per la concessione dei benefici richiede espressamente il riconoscimento dello status di handicap grave del soggetto da assistere, status che non era stato accertato dalla Commissione medica al tempo della richiesta del beneficio (ma solo successivamente, nel 2010).

Il ricorso viene rigettato.

Avv. Emanuela Foligno

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