Respinto il ricorso di un uomo condannato per atti osceni per aver mostrato in una piscina pubblica i propri genitali, toccandoseli, a due bambine di 6 e 9 anni

Era accusato di aver mostrato a due bambine di sei e nove anni, all’interno di una piscina pubblica comunale, i propri genitali toccandoseli. L’uomo era stato condannato in primo grado per il reato di corruzione di minorenne, ai sensi dell’art. 609 quinquies del codice penale. La Corte di appello aveva riqualificato il fatto come atti osceni ai sensi dell’art. 527 secondo comma c.p. in quanto commesso in luogo abitualmente frequentato da minori.

Nell’impugnare la sentenza di secondo grado davanti alla Suprema Corte il ricorrente eccepiva, tra gli altri motivi, l’erronea qualificazione giuridica del fatto trattandosi di condotta riconducibile alla fattispecie depenalizzata degli atti contrari alla pubblica decenza di cui all’art. 726 del codice penale e ciò sulla base della stessa ricostruzione effettuata dalla Corte di Appello secondo cui si era trattato di un gesto riconducibile all’estrinsecazione da parte dell’imputato delle proprie convinzioni nudiste, in quanto convinto fautore del rifiuto delle regole e delle convenzioni sociali, stante la distinzione tra gli atti osceni di cui all’art. 527 che hanno quasi sempre un contenuto sessuale e quelli contrari alla pubblica decenza che invece arrecano offesa al pudore in quanto posti in essere in violazione delle norme etiche di decoro, riserbo e compostezza.

I Giudici della Cassazione, tuttavia, con la sentenza n. 16465/2020 hanno ritenuto di non accogliere le argomentazioni dell’imputato respingendo il ricorso in quanto infondato.

Dal Palazzaccio, in particolare, hanno chiarito che il criterio di distinzione tra gli atti osceni e quelli contrari alla pubblica decenza va individuato nel contenuto più specifico del reato di cui all’art. 527 c.p. offendendo i primi, in modo intenso e grave, il pudore sessuale, laddove le condotte di cui all’art. 726 c.p.. ledono il comune sentimento di costumatezza e compostezza, suscitando un sentimento, rapportato allo specifico contesto in cui si svolge la condotta, da parte di chi si trovi ad assistervi di disagio e di riprovazione.

Nel caso in esame, la condotta del ricorrente, costituita non solo nell’esibizione da parte dell’imputato dei propri genitali in condizioni di nudità, fatto questo che avrebbe potuto astrattamente essere ricondotto agli atti contrari alla pubblica decenza, ma altresì nell’atto di toccarseli, era andata ben oltre una condotta soltanto esibizionistica, in cui è insita la violazione delle regole etico-sociali atta ad offendere il senso di decoro collettivo: il gesto compiuto, rimandando ad espressioni di concupiscenza in ragione della parte erogena del corpo oggetto del toccamento, era indice manifesto della sua natura sessuale, integrando perciò gli estremi dell’oscenità punita dall’art. 527 c.p.. cui la specifica condotta in contestazione era stata correttamente ricondotta dalla Corte distrettuale.

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