I professionisti sono finiti sotto inchiesta dopo la morte di una paziente deceduta per le conseguenze di un blocco intestinale. Secondo l’accusa una corretta diagnosi e un tempestivo intervento chirurgico avrebbe “impedito l’evoluzione infausta del quadro clinico”

Morì nel febbraio del 2017 per uno “shock ipovolemico per blocco intestinale da ernia interna con strangolamento del primo tratto intestinale”. A quasi tre anni di distanza da quella tragedia il Giudice per l’udienza preliminare di Arezzo dovrà esprimersi sulla richiesta di rinvio a giudizio avanzata dalla Procura nei confronti di due medici in servizio nel nosocomio del capoluogo di provincia toscano.

Si tratta dei professionisti del primo e del secondo turno che si occuparono della vittima, una donna di 47 anni che si era presentata in Pronto soccorso lamentando dolore addominale, vomito e diarrea. I due camici bianchi sono indagati per omicidio colposo. Secondo il Pubblico ministero avrebbero agito con “imprudenza, negligenza e imperizia”.

Come ricostruisce il Corriere di Arezzo, la paziente, una volta giunta in ospedale, aveva esposto la sua condizione, evidenziando anche di essere stata sottoposta alcuni anni prima a un intervento di diversione bilio pancreatica per la riduzione di peso.

Secondo l’ipotesi accusatoria il primo medico avrebbe erroneamente diagnosticato una pancreatite acuta.

Invece, secondo il Pm avrebbe dovuto richiedere una consulenza chirurgica sulla base dei dati anamnestici e della tac addome. In tal modo si sarebbe potuta riscontrare una iniziale occlusione intestinale di tipo meccanico che avrebbe potuto essere trattata chirurgicamente. Invece, la paziente venne curata con antidolorifici a base di oppiacei. Anche il medico del turno successivo, al persistere della sintomatologia, nonostante la già massiccia somministrazione di farmaci, avrebbe prescritto ulteriori oppiacei senza richiedere, anche in questo caso, la consulenza chirurgica.

Il consulto dello specialista – riferisce il Corriere di Arezzo- non risulterebbe dalle carte, anche se la difesa sostiene che il chirurgo sia stato interpellato. In ogni caso, a detta del magistrato inquirente, se l’occlusione intestinale fosse stata diagnosticata per tempo, un “tempestivo intervento chirurgico” avrebbe “impedito l’evoluzione infausta del quadro clinico”. La donna, invece, andò in arresto cardiocircolatorio e morì, nonostante il disperato tentativo di salvarle la vita portandola in sala operatoria.

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