Entrambi i gradi di merito incolpano il Medico del Pronto Soccorso di imperizia e negligenza per non aver completato l’iter diagnostico. La condanna è la pena di 9 mesi di reclusione, con i benefici della sospensione condizionale, e al risarcimento dei danni nei confronti delle parti civili. Sentenza confermata anche dai giudici della Suprema Corte (Cassazione penale, sez. IV, dep. 09/01/2024, n.626).

I fatti

Alle ore 8.05 del 6 gennaio 2017 il personale medico del 118 era intervenuto presso l’abitazione del paziente, in quanto lo stesso, a seguito di uno sforzo, lamentava un dolore precordiale associato a sudorazione. Disposto il ricovero al Pronto Soccorso dell’ospedale dove il paziente giungeva alle ore 9.28, con assegnazione del codice giallo, veniva visitato dall’imputato, in quel momento Medico addetto al Pronto Soccorso. Questi prescriveva esami ematochimici, successivamente svolti, una radiografia al torace e sottoponeva il paziente ad elettrocardiogramma; quindi dimetteva il paziente con la diagnosi di “toracoalgia atipica” prescrivendo un test da sforzo ed una visita cardiologica ambulatoriale.

In data 11 gennaio 2017, il paziente effettuava una visita nello studio del Dott. Ma.Ca., specialista in cardiologia, il quale, dopo l’effettuazione di un elettrocardiogramma e di un ecocardiogramma, formulava la diagnosi di “Cardiopatia ipertensiva con severa ipertrofia ventricolare sinistra. Funzione sistolica conservata. Aneurisma di bulbo e aorta ascendente (45 e 48 mm.). Versamento pericardico anteriore” e prescriveva una Angio TAC dell’aorta con associata valutazione coronarica e parechimi toracici.

Uscito dallo studio medico, il paziente saliva in auto e si avviava verso casa ma, dopo poco, arrestava l’auto al centro della strada e, trascorsi alcuni minuti con il motore acceso, ripartiva andando a sbattere contro una cabina elettrica presente sul marciapiede che fiancheggiava la strada. Immediatamente soccorso da una infermiera che si trovava in loco, la stessa sentiva il battito carotideo e accertava che l’uomo era deceduto.

All’esito dell’autopsia, si accertava che il decesso era originato da un arresto cardiocircolatorio acuto ed irreversibile, intervenuto a seguito di tamponamento cardiaco da emopericardio causato dalla rottura intrapericardica di un aneurisma dissecante dell’aorta ascendente.

La vicenda giudiziaria

La contestazione mossa all’imputato, in qualità di medico di P.S. dell’Ospedale, è quella di avere dimesso il paziente, senza aver completato l’iter diagnostico, necessario a verificare la sussistenza di “dissecazione aortica”.

Nei giudizi di merito, la questione sulla quale le opinioni di accusa e difesa divergevano riguardavano se al momento dell’accesso in Pronto Soccorso, la mattina del 6 gennaio 2017, la dissecazione aortica fosse già in atto.

L’addebito colposo mosso al Medico di P.S. nella duplice forma della negligenza e dell’imperizia è stato proprio individuato nell’erronea diagnosi di “toracoalgia atipica” effettuata dallo stesso all’atto delle dimissioni e nella mancata esecuzione di appositi esami atti a completare l’iter diagnostico

I Giudici di merito hanno ritenuto fondata l’ipotesi accusatoria formulata nel capo di imputazione, argomentando che la documentazione medica in atti ha consentito di ritenere che il Medico di P.S. ha omesso di valutare l’ipotesi di una dissecazione aortica quale causa del dolore toracico, essendo stato accertato che le condizioni patologiche gravi che possono portare ad una sintomatologia propria del dolore toracico sono solo quattro, ovvero l’infarto miocardico, l’embolia polmonare, lo pneumotorace e la dissecazione aortica.

Il sospetto diagnostico

L’imputato non ha effettuato alcun esame diagnostico per accertare l’esistenza della dissecazione aortica, non potendo a tal fine servire il dosaggio del D-Dimero che è un parametro che se isolatamente valutato è generico e aspecifico e non essendo sufficienti l’elettrocardiogramma (che serve ad escludere l’infarto al miocardio) e la radiografia al torace (che esclude lo pneumotorace).

Proprio per tali ragioni nei due gradi di merito è stato ritenuto che la mancata esecuzione di esami diagnostici specifici e la terapia (o mancata terapia) prescritta al momento delle dimissioni dal Pronto soccorso dimostrano che l’imputato non ha in nessun modo preso in considerazione, neppure sotto il profilo del mero sospetto diagnostico, l’ipotesi che il dolore toracico, che peraltro persisteva all’atto delle dimissioni, fosse correlato ad un procedimento di dissecazione aortica in atto, sia pure nelle fasi prodromiche, trattandosi di condotta connotata da grave negligenza, anche alla luce degli studi statistici riferiti dai periti secondo cui la dissecazione aortica colpisce più spesso i maschi che le femmine e si verifica maggiormente nel sesto-settimo decennio di vita.

I Periti hanno concluso che “l’esecuzione di un ecocardiogramma, per il riscontro, quantomeno, delle suddette dilatazioni aneurismatiche, in assenza di una diagnosi alternativa sulla genesi del dolore toracico, avrebbe dovuto indubbiamente evocare una possibile genesi aortica dello stesso, a maggior ragione se presente anche un versamento pericardico e, conseguentemente, condurre all’esecuzione di ulteriori approfondimenti (ad. es. una angio-TC) utili a confermare la diagnosi di sindrome aortica acuta, nella specie verosimilmente rappresentata da un ematoma intramurale e ad avviare con tempestività un trattamento cardiochirurgico con alta probabilità di successo, ossia sopravvivenza del paziente ampiamente superiori al 50%”.

L’intervento della Corte di Cassazione

Il tema centrale affrontato è quello della diagnosi differenziale e del dovere che incombe sul Medico, di fronte al dubbio diagnostico, di valutare le possibili ipotesi alternative, con gli accertamenti specialistici richiesti completando l’iter diagnostico.

La S.C. ribadisce che fino a quando il dubbio diagnostico non sia stato risolto, e non vi sia incompatibilità tra accertamenti diagnostici e trattamenti medico-chirurgici, il Medico che si trovi di fronte alla possibilità di diagnosi differenziale non deve accontentarsi del raggiunto convincimento di aver individuato la patologia esistente, quando non sia in grado di escludere la patologia alternativa, proseguendo gli accertamenti diagnostici ed i trattamenti necessari.

Il dubbio diagnostico, in altri termini, non può essere “scaricato” sul paziente con un’omessa diagnosi o con una diagnosi meramente apparente.

Le decisioni di entrambi i Giudici di merito sono corrette in quanto sono giunte all’affermazione di penale responsabilità nei riguardi dell’ imputato in coerenza con i principi in base ai quali “risponde di omicidio colposo per imperizia, nell’accertamento della malattia, e per negligenza, per l’omissione delle indagini necessarie, il medico che, in presenza di sintomatologia idonea a porre una diagnosi differenziale, rimanga arroccato su diagnosi inesatta, benché posta in forte dubbio dalla sintomatologia, dalla anamnesi e dalle altre notizie comunque pervenutegli, omettendo così di porre in essere la terapia più profittevole per la salute del paziente”.

Avv. Emanuela Foligno

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