Quali sono i casi di responsabilità civile dei magistrati? E quando, in caso i condotta negligente dei giudici lo Stato è tenuto al risarcimento del danno nei confronti della parte lesa?

La vicenda

Con ricorso per Cassazione era stata denunciata la condotta negligente dei giudici di legittimità che avevano deciso la fattispecie in esame incorrendo in gravi errori, non ascrivili ad insindacabile attività di interpretazione di norme di diritto ma a grave violazione di legge per negligenza inescusabile.
Al riguardo, il ricorrente assumeva che tale negligenza inescusabile –intesa come violazione macroscopica e grossolana delle norme di diritto, eclatante e non rimediabile – derivava dal fatto che le norme violate erano di frequente uso e che le determinazioni adottate dal giudice di legittimità nel decidere la causa di merito fossero in aperto contrasto con le giuste statuizioni che al riguardo erano state già assunte dalle precedenti sentenze di merito, avendo altresì omesso la Suprema Corte di motivare tale eclatante spostamento.
Secondo il ricorrente la decisione impugnata era caratterizzata da una «totale mancanza di attenzione nell’uso degli strumenti normativi e da una trascuratezza marcata ed ingiustificabile essendo stati violati elementari principi di diritto che il magistrato non può assolutamente ignorare e che, ciò aveva comportato un danno ingiusto, nei confronti dell’istante».
La decisione è stata rimessa alle Sezioni Unite della Cassazione con ordinanza interlocutoria della Terza Sezione Civile contenente il seguente quesito: chiarire il discrimine tra attività interpretativa insindacabile ed attività sussumibile nella fattispecie illecita, con specifico riferimento alla violazione di norme di diritto in relazione al significato ad essa attribuito da orientamenti giurisprudenziali consolidati.

Il quadro normativo di riferimento

La vicenda si innesta nell’ambito della disciplina dettata dalla legge 13 aprile 1988, n. 117 rubricata “Risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati”, anteriore alla riforma del 2015 ma applicabile, ratione temporis al caso in esame.
Si tratta in altre parole, di circoscrivere l’area della responsabilità del magistrato, attraverso l’analisi della nozione di attività interpretativa.
Il punto di partenza è considerare che «l’errore del giudice è in certo qual modo fisiologico allo stesso svolgimento dell’attività giurisdizionale in quanto anche il giudicare è attività umana, come tale fallibile e limitata. Il margine di errore deve però essere ridotto al minimo, a salvaguardia dell’interesse pubblico sotteso allo svolgimento della funzione. Ma a questo fine operano già, a monte, i meccanismi selettivi, la formazione permanente, le verifiche periodiche di professionalità».

All’interno, poi, della dinamica processuale, l’errore, o la decisione ritenuta ingiusta sono rimediabili prioritariamente con lo strumento delle impugnazioni.

L’errore materiale o di calcolo, evincibile dalla lettura del provvedimento, dal contrasto tra dispositivo e motivazione, può essere invece, rimosso agevolmente, con una procedura non contenziosa, senza oneri verso lo Stato, ed ora attivabile anche d’ufficio e in ogni tempo, da parte della Corte di cassazione, che consente la rimozione di ulteriori ipotesi di errore, diverse da quelle suscettibili di essere rimosse con l’impugnazione, attraverso la quale l’ingiustificato pregiudizio a carico della parte che ha ragione viene ancora circoscritto e l’errore eliminato.
Inoltre, è utilizzabile lo strumento della revocazione, a fronte del solo errore di fatto, nella accezione presa in considerazione dall’art. 395 n. 4 c.p.c. 10.3.
Nelle ipotesi residue, in cui la decisione definitiva sia ancora reputata ingiusta e la parte che ritenga di essere stata pregiudicata dall’errore del giudice, questa potrà agire contro lo Stato facendo valere la responsabilità civile del magistrato, purchè si rientri nelle ipotesi consentite dalla legge.

Esiste, dunque, un’area limitata e residua in cui opera la responsabilità civile del magistrato.

Nella specie, tre sono le categorie di ipotesi in cui l’errore del giudice può essere assoggettato a responsabilità civile perché sottratto alla clausola di salvaguardia:

  • l’errore sulla individuazione della disposizione, ovvero sulla individuazione del significante;
  • l’errore sulla applicazione della disposizione;
  • l’errore sul significato della disposizione, ovvero l’attribuzione alla disposizione di un significante non compatibile con il significato, un non- significato.

In tutti e tre i casi, non si tratta di scelte frutto di un consapevole processo interpretativo, ma di attività che non sono frutto del processo interpretativo stesso.
Esse rilevano come fonte di responsabilità civile qualora integrino una grave violazione di legge che supera la soglia della negligenza inescusabile.
La giurisprudenza di legittimità ha evidenziato che i casi sanzionabili non sono riconducibili al lavoro interpretativo consapevole, giustificato, diligente, professionale, ma si collocano in un terreno in cui l’attività svolta dal giudice, per la sua arbitrarietà e per il suo scollamento dalle categorie giuridiche, non può neppure più essere qualificata come frutto di interpretazione, come tale insindacabile, ma sconfina nell’invenzione, nell’abnormità, nel diritto libero (tra le altre, Cass. n. 6791 del 2016, Cass. n. 11593 del 2011, Cass. n. 7272 del 2008, Cass. n. 11859 del 2001).

Responsabilità civile del giudice e mancato rispetto del precedente.

La seconda questione posta dall’ordinanza interlocutoria è se possa integrare grave violazione di legge, determinata da negligenza inescusabile e possa essere fonte di responsabilità per lo Stato (e poi, in sede di rivalsa, per lo stesso magistrato), anche il discostarsi del giudice dal tracciato della precedente giurisprudenza di legittimità ed in caso affermativo, in quali casi.
La soluzione è negativa.
«Il precedente giurisprudenziale, pur autorevole, pur se proveniente dalla Corte di legittimità e finanche dale Sezioni unite, e quindi anche se è diretta espressione di nomofilachia, non rientra tra le fonti del diritto, e come tale non è direttamente vincolante per il giudice (salvo che, naturalmente, per il giudice di rinvio)».
Ne consegue che il discostarsi dal precedente, anche se di legittimità, anche a Sezioni unite, non può essere di per sé fonte di responsabilità civile per il giudice.
La norma giuridica trova propriamente la sua fonte di produzione nella legge (e negli atti equiparati), negli atti, cioè, di competenza esclusiva degli organi del potere legislativo.
Naturalmente, la superabilità del precedente non può prescindere dall’obbligo di conoscerne l’esistenza.
«In un sistema che valorizza l’affidabilità e la prevedibilità delle decisioni, l’adozione di una soluzione non in linea con i precedenti non può essere di per sé né gratuita, né immotivata, né immeditata: in una parola, deve essere comunque frutto di scelta (interpretativa) consapevole e riconoscibile come tale, e a questo scopo deve essere comprensibile, e tale diviene più facilmente se esplicitata all’esterno a mezzo della motivazione».
In tutto ciò gioca un ruolo fondamentale la motivazione.
«Il discostarsi dal precedente, non può essere mai di per sé fonte di responsabilità civile. Tuttavia, proprio perché essa possa aprire costruttivamente la strada ad una svolta interpretativa differente dal passato, la decisione non può limitarsi ad una mera affermazione di dissenso, in quanto per poter essere persuasiva la decisione deve anche essere esplicativa, ovvero deve rendere riconoscibile all’esterno il ragionamento decisorio, da cui discendono conseguenze sul piano dell’applicazione».

La fattispecie in esame

A detta del ricorrente integrerebbero ipotesi di colpa grave:

  • il non aver riconosciuto la rivalutazione monetaria sull’importo dovuto a titolo di risarcimento del danno a carico della pubblica amministrazione per occupazione illegittima;
  • l’aver liquidato il credito accessorio per interessi al tasso legale con decorrenza “a far data dalla domanda”, non considerando che in materia di illecito extracontrattuale si applicava la “mora ex re” e che gli interessi da ritardo dovevano applicarsi dalla data dell’illecito, così violando gli artt. 1219, comma 2, n. 1) c.c. e 1223 c.c.;
  • l’aver omesso di calcolare gli interessi sulla somma prima devalutata alla data del fatto illecito (risalente al 1986, ovvero al momento della definitiva trasformazione del fondo) e poi via via rivalutata, come statuito dalle sentenze di merito non impugnate sul punto.

Le violazioni di legge lamentate – oservano le Sezioni Unite – sono afferenti alla attività di ricostruzione ed interpretazione giuridica operata dalla Corte, nel determinare l’importo da liquidare complessivamente, per capitale ed accessori, a ristoro del pregiudizio patrimoniale subito dagli per l’occupazione illegittima del loro terreno da parte della pubblica amministrazione.
Tali valutazioni, come tali, rimangono sottratte all’accertamento della configurabilità o meno di una grave violazione di legge, determinata danegligenza inescusabile, nella quantificazione dell’importo spettante, per l’operatività della clausola di salvaguardia.
Per le Sezioni Unite, dunque, la decisione censurata doveva essere sottratta alla sfera della assoggettabilità all’azione di responsabilità civile, perché afferente all’esercizio dell’attività interpretativa della Corte, e quindi coperta dalla operatività della clausola di salvaguardia.
«In essa infatti la Corte ha compiuto delle scelte decisionali, all’esito del processo interpretativo di individuazione e determinazione del contenuto delle norme e dei suoi stessi precedenti, per individuare a quali criteri ancorare il risarcimento del danno conseguente alla perdita della disponibilità del bene e quindi per determinare l’ammontare del dovuto».

La decisione

Trattasi nel caso di specie, di una valutazione frutto dell’utilizzazione di criteri non accuratamente esplicitati, ma comunque tali da rendere il risultato concreto per il danneggiato ben superiore all’importo liquidato dalla Corte d’appello e rapportabile al parametro legale del valore venale del bene.
Pertanto, la scelta decisionale compiuta in primo luogo è frutto di una scelta interpretativa, e come tale non sindacabile in sede di promovibilità dell’azione di responsabilità, e d’altro canto non è svincolata dal rispetto dei parametri valutativi di legge da divenire inesplicabile né tanto meno può ritenersi una decisione abnorme, che sconfina nel diritto libero.
Per tutti questi motivi, in definitiva, il ricorso è stato rigettato.

Dott.ssa Sabrina Caporale

 
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