In Italia, secondo i dati dell’Isituto Superiore di Sanità, i decessi riconducibili al Covid-19 nelle strutture residenziali e sociosanitarie sono stati 6773

Secondo le stime europee, fino alla metà dei decessi avvenuti per Covid-19 si è registrata nelle strutture di assistenza a lungo termine. Lo ha affermato il direttore regionale dell’Organizzazione mondiale della sanità per l’Europa, Hans Kluge parlando di “tragedia umana inimmaginabile”.

“L’età avanzata dei pazienti, le loro condizioni di salute di base, i problemi cognitivi nella comprensione e nel seguire i consigli di sanità e di igiene dovuti a disabilità intellettiva o a demenza, sono tutti fattori che mettono queste persone a maggior rischio. In più, a molti è impedito di ricevere visite da familiari e amici e a volte sono oggetto di minacce, abusi e abbandono. Ugualmente preoccupante – ha sottolineato Kluge – è il modo in cui operano tali strutture di cura, il modo in cui i pazienti ricevono assistenza, che sta fornendo percorsi per la diffusione del virus. E’ importante ricordare che anche le persone molto anziane e fragili, affette da molteplici malattie croniche hanno buone possibilità di guarigione se vengono ben curate”.

Nel nostro Paese, secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità, dal primo febbraio al 14 aprile 2020 ci sono stati 6.773 decessi tra i residenti nelle strutture residenziali e sociosanitarie.

Nel 40,2 per cento dei casi (2.724) i decessi sono riconducibili al Covid-19 o manifestazioni simil-influenzali.

I dati sono stati ricavati da un questionario, ad adesione volontaria, inviato dall’Istituto a tutte le Rsa presenti nel suo archivio, cioè 3.420 (in totale in Italia sono circa 4.500). La Lombardia è la Regione con i dati più critici; i pazienti morti per Covid o sintomatologia compatibile rappresentano il 53,4% del totale dei decessi (in tutto 3.045).

Ai responsabili delle strutture è stato chiesto anche quali sono state le principali difficoltà dall’inizio dell’epidemia e l’82,7% hanno risposto “la mancanza di dispositivi di protezione indivuduale”. Il 46,9% ha invece citato l’impossibilità di eseguire tamponi, il 33,5% l’assenza di personale e il 25,9% le difficoltà nell’isolamento.


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