A seguito di un incidente stradale non è consentito al danneggiato frazionare la domanda di risarcimento dei danni al veicolo dalle lesioni personali, a meno che egli non risulti “assistito” da un oggettivo interesse al frazionamento

Dopo un incidente stradale dal quale era rimasto danneggiato, aveva richiesto ed ottenuto il risarcimento dei danni al veicolo.

Soltanto successivamente adiva in giudizio il conducente dell’altro veicolo e la sua assicurazione RCA per ottenere anche il ristoro dei danni alla persona.

Ma tale domanda veniva respinta. A detta del giudice di primo grado, la sua richiesta non poteva essere accolta dal momento che secondo la giurisprudenza prevalente non è consentito frazionare con due separati giudizi la domanda di risarcimento dei danni alle cose (alla sua auto) da quella per le lesioni personali subite, quando il fatto originante è il medesimo.

La sentenza veniva confermata in appello, cosicché il ricorrente presentava ricorso per Cassazione, asserendo che la decisione di frazionare le due domande era giustificata da una circostanza oggettiva: al momento in cui agiva in giudizio per ottenere il ristoro dei danni alle cose, ancora non era guarito dalle lesioni fisiche riportate a seguito dell’incidente.

Il punto di diritto

Il tema è quello dell’”abusivo frazionamento” di domanda risarcitorie per danni diversi nascenti dallo stesso fatto illecito.

Sul punto, i giudici della Cassazione citano una sentenza delle Sezioni Unite (sent. 15 novembre 2007, n. 23726) che ha riconosciuto come comportamento contrario a buona fede e come abuso dello strumento processuale “la parcellizzazione della domanda giudiziale diretta alla soddisfazione della pretesa creditoria”.

Tale principio, enunciato per l’obbligazione negoziale, è stato esteso al sistema della responsabilità civile, allorquando si è affermato che “il danneggiato, a fronte di un unitario fatto illecito, lesivo di cose e persone, non può frazionare la tutela giudiziaria, agendo separatamente innanzi al giudice di pace e al tribunale in ragione delle rispettive competenze per valore, neppure mediante riserva di far valere ulteriori e diverse voci di danno in altro procedimento, trattandosi di condotta che aggrava la posizione del danneggiante-debitore, ponendosi in contrasto al generale dovere di correttezza e buona fede e risolvendosi in un abuso dello strumento processuale” (Cass. sent. n. 21318/2015).

Così facendo si arreca un danno diretto all’intero sistema della Giustizia: aumento degli oneri processuali, allungamento dei tempi del processo derivanti dalla “proliferazione non necessaria dei procedimenti”, nonché (eventuale) lievitazione dei costi a carico della parte soccombente.

La scelta perciò di frazionare le domande comporta una responsabilità che grava direttamente sull’avvocato, per violazione dell’osservanza dei principi di correttezza e buona fede quali emergenti dalle regole deontologiche di protezione, come è quella dell’art. 49 del codice deontologico, dettata in “funzione della responsabilità sociale dell’avvocato quale fondamentale cerniera tra le persone e l’ordinamento giuridico” (Cass. sez. Un. n. 961/2017).

Insomma, la colpa è anche (e soprattutto) dell’avvocato che non ha saputo correttamente consigliare il proprio assistito.

Tuttavia, non è questo il nostro caso.

C’è infatti una recente sentenza delle Sezioni Unite che ha ribaltato il precedente orientamento, affermando che “la proposizione di separate azioni risarcitorie per danni diversi nascenti dallo stesso fatto illecito, è consentito ma solo se l’attore risulti in ciò “assistito” da un oggettivo interesse al frazionamento”  (Sez. Un. n. 4090/2017).

E quale era l’interesse del danneggiato?

Al momento della proposizione della domanda di risarcimento dei soli danni al veicolo egli non risultava ancora guarito dalle lesioni personali.

I giudici della Cassazione hanno, perciò, ritenuto corretta la decisione di frazionare la pretesa risarcitoria.

La redazione giuridica

 

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