Danno morale e riverberi sulla vita quotidiana derivanti da patologia professionale (Cass. civ., sez. lav., 24 agosto 2023, n. 25119).

La patologia di origine professionale determina la lesione di un diritto costituzionalmente protetto, di talchè si può discorrere sia di danno morale, che di peggioramento della qualità della vita se è sussistente la responsabilità ex art. 2087 c.c.

Il lavoratore invocava il risarcimento del danno conseguente a intervento chirurgico di bypass a seguito del quale veniva, in un primo momento, assegnato a lavori d’ufficio e successivamente giudicato non idoneo dal Medico del lavoro alle mansioni lavorative sino ad allora svolte, con cessazione del rapporto di lavoro.

Il Tribunale rigettava la domanda, successivamente la Corte d’Appello dichiarava il diritto dell’uomo al risarcimento del danno differenziale da patologia professionale, da cui detraeva l’importo indennizzabile dall’INAIL. La Corte territoriale dava atto dell’accertamento del nesso causale  tra l’attività lavorativa effettuata e l’evento patito, con conseguente intervento di by pass. Sosteneva, inoltre, che in ragione delle condizioni di lavoro pesanti, dei turni, degli orari, dell’eccessivo carico di lavoro e del costante superamento dell’orario lavorativo, fosse sussistente anche la responsabilità del datore di lavoro ai sensi dell’art. 2087 c.c., da cui discendeva il diritto alla liquidazione del danno differenziale.

 Il datore di lavoro ricorre in Cassazione e il lavoratore pone ricorso incidentale.

Il lavoratore, per quanto qui di interesse, lamenta il mancato riconoscimento del danno morale.

La Suprema Corte evidenzia che la Corte di appello sul punto ha sostenuto che «non può infine aggiungersi alcun ulteriore importo a titolo di danno cosiddetto esistenziale poiché in proposito non è stato dedotto alcun elemento di prova, nè ricorrono le condizioni per una personalizzazione del danno sotto ogni profilo rilevante attinente ai riflessi sulla integrità psicobiologica, al condizionamento e al pregiudizio nello svolgimento delle sue attività areddituali, ad ogni ulteriore aspetto morale». Ma con tale motivazione non risulta spiegata la ragione del diniego del danno morale.

Viene ricordato che il danno morale attiene  alla dignità e al dolore soggettivo, ovvero a quei pregiudizi interiori rilevanti sotto il profilo del dolore, della vergogna, della disistima di sé, della paura e della disperazione che sono differenti e autonomamente apprezzabili sul piano risarcitorio rispetto agli effetti dell’illecito incidenti sul piano dinamico-relazionale, che si palesano nell’ambito delle relazioni di vita esterna.

In caso di lesione di interessi costituzionalmente protetti, deve essere rigorosamente valutato sia l’aspetto interiore del danno, quanto il suo impatto modificativo in peggio con la vita quotidiana, atteso che oggetto dell’accertamento e della quantificazione del danno risarcibile è la sofferenza umana conseguente alla lesione di un diritto costituzionalmente protetto.

Ragionando in tal senso, è il Giudice di merito che deve tenere in considerazione tutte le conseguenze in peius derivanti dall’evento di danno, nessuna esclusa, e con il concorrente limite di evitare duplicazioni attribuendo nomi diversi a pregiudizi identici.

Nel caso in esame i valori costituzionalmente protetti del lavoratore risultano senz’altro compromessi dall’illecito nella misura in cui questo ha impedito al lavoratore lo svolgimento di qualunque attività lavorativa e della vita di relazione.

Per tali ragioni la decisione viene cassata.

Avv. Emanuela Foligno

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