Precisazioni importanti sulle distanze per le costruzioni giungono dalla Cassazione che dice no all’interpretazione estensiva dell’art. 873 c.c. in determinati casi

La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 25835/2018 fornisce delle precisazioni importanti in merito alle distanze per le costruzioni.

Gli Ermellini, infatti, si oppongono all’interpretazione estensiva dell’art. 873 c.c. in caso di manufatti confinanti con altre proprietà.

Insomma, la realizzazione di manufatti per superare le barriere architettoniche è soggetta al rispetto delle sole distanze legali codicistiche.

La vicenda

Nel caso di specie, il Tribunale di Messina ha emesso la condanna nei confronti di un soggetto che ha dovuto demolire un ascensore e annesse balconate poiché non avevano rispettato le distanze per le costruzioni.

La Corte d’appello ha dichiartato il ricorso inammissibile per mancanza di ragionevole probabilità di accoglimento ex artt. 348 bis e ter c.p.c.

A quel punto, la questione è giunta in Cassazione.

In base all’art. 873 c.c. vengono disciplinate le distanze per le costruzioni. Queste prevedono che le costruzioni su fondi finitimi, se non sono unite o aderenti, devono essere tenute a distanza non minore di tre metri. Inoltre, nei regolamenti locali può essere stabilita una distanza maggiore.

La stessa distanza legale di tre metri è richiesta anche dall’art. 907 c.c. per la realizzazione di vedute rispetto le costruzioni già esistenti, e viceversa.

Esiste poi l’art. 3 della Legge 13/1989, oggi art. 79 DPR 380/2001.

Questo è una disposizione finalizzata a favorire il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati.

Il primo comma di tale norma prevede che le opere condominiali possano essere realizzate in deroga alle norme sulle distanze previste dai regolamenti edilizi.

Questo vale anche per i cortili e le chiostrine interni a fabbricati o comuni o di uso comune a più fabbricati.

Un comma successivo stabilisce poi che è fatto salvo l’obbligo di rispettare le distanze di cui agli artt. 873 e 907 c.c. nell’ipotesi in cui fra le opere da realizzare e i fabbricati alieni non sia interposto alcuno spazio o area di proprietà o di uso comune.

Ora, nel caso oggetto della sentenza in commento, la questione sottoposta in Cassazione attiene la corretta interpretazione del secondo comma del succitato articolo 3 Legge 13/1989.

In sostanza, ci si domanda se, al di fuori dei rapporti condominiali, il richiamo alle distanze previste dall’art. 873 c.c. debba intendersi limitato alla sola distanza di tre metri indicata nel primo capoverso.

Oppure, se esso si riferisca anche alle eventuali maggiori distanze previste nei regolamenti locali come richiamato nel secondo capoverso.

A riguardo, il giudice di primo grado ha optato per un’interpretazione estensiva.

Secondo il giudice, per le opere non condominiali, il rinvio alle distanze di cui all’art. 873 c.c. deve essere inteso in senso ampio.

Vale a dire che devono essere inclusi anche le eventuali maggiori distanze previste dai regolamenti locali.

In questo modo, si giunge alla decisione senza approfondire e discernere sia sulla disciplina, sia sull’assenza di un’espressa previsione in tal senso dallo stesso art. 3 Legge cit.

Diversa è la posizione della Corte di Cassazione.

Gli Ermellini, con l’ordinanza in commento, non condividono quanto sostenuto dai giudici di merito e giungono ad una differente conclusione.

Il richiamo alle distanze di cui all’art. 873 c.c. contenuto al secondo comma dell’art. 3 della Legge 13/1989, secondo la Cassazione, deve intendersi riferito alla sola distanza di tre metri indicata nella prima parte della norma.

E non, quindi, anche alle eventuali maggiori distanze previste dai regolamenti locali così come richiamate nella seconda parte della norma medesima.

In sostanza, ricordano gli Ermellini, se il legislatore del 1989 avesse voluto estendere la portata applicativa della norma anche alle eventuali, maggiori distanze regolamentari, lo avrebbe previsto espressamente.

A questo riguardo, sarebbe bastato aggiungere il solo inciso “o ai regolamenti edilizi”.

Il legislatore del 1989, pertanto, ha proceduto con una visione statica della disposizione. Il tutto allo scopo di evitare una disparità di trattamento rispetto alle opere da realizzare all’interno di edifici condominiali ove, invece, una tale deroga è stata espressamente prevista.

In conclusione, l’accoglimento del ricorso comporta la cassazione della sentenza impugnata.

Questa è stata rinviata ad altra sezione della Corte d’appello affinché decidesse nel merito.

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