Errate cure al tendine flessore del secondo dito della mano (Cassazione Civile, sez. VI, dep. 10/10/2022, n.29357).

Deficit alla mano destra per errate cure al tendine flessore del secondo dito.

Il paziente citava dinanzi il Tribunale l’Azienda Ospedaliera chiedendone la condanna al risarcimento dei danni derivati dalle errate cure al tendine flessore del II dito della mano dx, lesionato a seguito di un infortunio sul lavoro.

Il Tribunale rigettava la domanda ritenendo non provato il nesso di causalità tra il lamentato deficit e la condotta dei sanitari, essendo emersa dalla CTU la correttezza prestazioni sanitarie. Successivamente, la Corte d’Appello dichiarava inammissibile il gravame interposto dal soccombente, per inosservanza degli oneri di specificità.

In particolare, la Corte territoriale, respingendo la richiesta di una seconda CTU, rilevava che “l’appellante non ha indicato uno schema di motivazione alternativo a quello seguito dal primo giudice nel rigettare la domanda risarcitoria proposta, riproponendo interamente le deduzioni del giudizio di primo grado”: egli, infatti, “ha dedotto che i sanitari non hanno dato giusto peso al deficit alla mano destra dallo stesso riportata, ovvero al tendine flessore del II dito della mano dx, ritenendo che cicli di fisioterapia e laser terapia sarebbero stati sufficienti ad ottenere la sua guarigione, senza nulla argomentare a confutazione delle argomentazioni svolte dal primo giudice e, in particolare, senza specificare per quali considerazioni la condotta del personale medico non è stata improntata al rispetto dei dettami delle regole dell’arte medica consone alla fattispecie”.

La decisione viene impugnata in Cassazione e il ricorrente evidenzia che  la chiesta seconda C.T.U. non è esplorativa, ma di ausilio per le competenze tecniche del caso e la valutazione del nesso tra il mancato/insufficiente/inadeguato operato dei medici dell’ente ospedaliero e gli esiti invalidanti riportati dal paziente alla mano destra;  che la sentenza risulta fondata unicamente sulla C.T.U. che non dava contezza delle ragioni per cui si assumeva assenza di causalità tra la condotta e le menomazioni riportate.

Gli Ermellini osservano che il ricorrente ha, infatti, omesso sia di individuare e riportare le statuizioni dei capi della sentenza di primo grado – nei confronti dei quali l’impugnazione proposta dovrebbe ritenersi, diversamente da quanto ritenuto dai giudici d’appello, provvista dei requisiti di specificità -, sia di trascrivere per esteso il contenuto dell’atto di appello, così impedendo alla Corte, in difetto della compiuta descrizione del fatto processuale, di procedere alla preliminare verifica di ammissibilità del motivo di ricorso mediante accertamento della rilevanza e decisività del vizio denunciato rispetto alla pronuncia impugnata per cassazione.

In particolare, ove il ricorrente censuri la statuizione di inammissibilità, per difetto di specificità, di un motivo di appello, ha l’onere di specificare, nel ricorso, le ragioni per cui ritiene erronea tale statuizione del giudice di appello e sufficientemente specifico, invece, il motivo di gravame sottoposto a quel giudice, e non può limitarsi a rinviare all’atto di appello, ma deve riportarne il contenuto nella misura necessaria ad evidenziarne la pretesa specificità.

Anche il secondo motivo è inammissibile in quanto non tiene conto della ratio decidendi della decisione impugnata.

Conclusivamente il ricorso viene dichiarato inammissibile.

Avv. Emanuela Foligno

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