Il patema d’animo causato dal naufragio della Costa Concordia al vaglio della Corte di Cassazione (Cass. civ., sez. lav., 2 dicembre 2022, n. 35499).

Il patema d’animo nella pronuncia su ricorso di una lavoratrice della Costa Concordia rovinosamente affondata.

La decisione a commento, della Sezione lavoro della Suprema Corte, affronta il patema d’animo come posta risarcitoria del danno non patrimoniale e ne qualifica la natura.

Alla ricorrente, lavoratrice a bordo della nave affondata nel 2012, veniva riconosciuta una somma a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale subito a seguito del naufragio.

La Corte d’Appello confermava la sentenza del Tribunale e ricordava che con riferimento alle sofferenze patite, il danno era stato calcolato procedendo ad una personalizzazione e applicando le Tabelle milanesi e che nel calcolo del punto è già compreso il danno per sofferenze morali.

La lavoratrice ricorre per la cassazione della sentenza censurando, per quanto qui di interesse, il rigetto del riconoscimento del danno non patrimoniale  ulteriore rispetto a quello attribuito, danno collegato al patema d’animo connesso al suo coinvolgimento nella tragica vicenda e alla diminuzione dell’integrità psico-fisica dovuta alla protratta sofferenza e timore di perdere la propria vita.

Tuttavia, secondo gli Ermellini, non esiste alcun ulteriore danno risarcibile essendo già stata applicata la massima personalizzazione prevista dalle Tabelle di Milano.

Le Sezioni Unite (11 novembre 2008, n. 26972 e n. 26975) hanno posto in rilievo il carattere unitario del danno non patrimoniale, incasellando in essa, al fine di evitare duplicazioni risarcitorie, tutte le diverse voci elaborate da dottrina e giurisprudenza che non richiedono uno specifico ed autonomo statuto risarcitorio, ma possono venire in considerazione solo in sede di adeguamento del risarcimento al caso specifico, attraverso il meccanismo della cd. personalizzazione.

Spetta al Giudice, su precisa e dettagliata allegazione del danneggiato, fare emergere e valorizzare, dandone espressamente conto in motivazione, specifiche circostanze di fatto, peculiari al caso sottoposto ad esame, idonee a superare le conseguenze ordinarie già previste e ricomprese dalle previsioni tabellari.

La Suprema Corte ribadisce che il danno morale soggettivo costituisce una voce di pregiudizio non patrimoniale, ricollegabile alla violazione di un interesse costituzionalmente tutelato, ontologicamente distinta dal danno biologico e dal danno nei suoi aspetti dinamico relazionali, con la conseguenza che va risarcito autonomamente, ove provato, senza che ciò comporti alcuna duplicazione.

Non costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione del danno biologico e di una ulteriore somma a titolo di risarcimento di pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale, rappresentati dalla sofferenza interiore (dolore dell’animo, vergogna, disistima di sé,  paura, disperazione).

Pertanto, ove sia dedotta e provata l’esistenza di uno di tali pregiudizi non aventi base medico-legale, essi dovranno formare oggetto di separata valutazione e liquidazione (si vedano Cass. civ. n. 7513/2018 e Cass. civ. n. 4878/2019).

La lavoratrice non ha allegato, né provato, ulteriori e diverse voci di danno non patrimoniale.

La Corte territoriale, pertanto, ha correttamente preso in considerazione il patema d’animo sofferto dalla lavoratrice derivato dal naufragio ed ha riconosciuto e liquidato tale danno attraverso la massima personalizzazione delle tabelle milanesi, in quanto utilizzato come parametro ai fini della valutazione equitativa.

Conseguentemente le censure non sono fondate e il ricorso viene respinto.

Avv. Emanuela Foligno

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