Tribunale e Corte di Appello respingono la domanda proposta dai familiari della vittima nei confronti dei Medici e della ASL 2 di Savona per la morte cerebrale e lo stato di coma in cui era sprofondato il paziente in seguito al mancato monitoraggio e alla condotta imperita in occasione del suo accesso presso il Pronto Soccorso dell’Ospedale tra il 20 e il 21 ottobre 2012.

La Corte di Cassazione conferma che il decesso del paziente non è correlato a malpractice (Cassazione Civile, sez. III, 30/04/2024, n.11603).

Il caso clinico

Il paziente era giunto presso il Pronto Soccorso intorno alle ore 23.00 del 20 ottobre 2012, riferendo che sin dalla mattinata aveva accusato fastidio alla gola. Nel corso della giornata aveva assunto due bustine di Oki e una di Augmentin. Da circa un’ora, era comparsa dispnea; egli aveva anche riferito di seguire terapia farmacologica per ipertensione.

Era stato visitato dal dott. L.V., il quale aveva riscontrato faringe iperemica ed eritematosa, pressione arteriosa 100/161, temperatura 37,6 °C e saturazione ossigeno 100%. Sottoposto a prelievo sanguigno per esami ematochimici, questi avevano evidenziato leucocitosi neutrofila. Era stato eseguito un ECG, risultato nella norma; sul presupposto che avesse una affezione delle alte vie aeree, gli era stato quindi somministrato del cortisone ed era stata disposta l’effettuazione di aerosol con Clenil. Alle ore 00.00 del 21 ottobre 2012, subito dopo la terapia aerosolica, aveva peraltro sviluppato una dispnea “iperacuta”, con arresto respiratorio. Gli era stata somministrata della adrenalina ed era stato allertato il rianimatore; la saturazione dell’ossigeno era scesa al 30%.

Sopraggiungeva pertanto la dott.ssa S.S., anestesista rianimatrice, che aveva trovato il paziente in stato di incoscienza e aveva eseguito la manovra di ventilazione, aveva riscontrato un notevole rialzo pressorio (230/100) e, all’esame obiettivo e laringoscopico, aveva osservato un importante edema della lingua e della laringe. Aveva quindi applicato maschera laringea e continuato la ventilazione, ottenendo la risalita della saturazione dell’ossigeno fino al 100%. Infine, aveva richiesto l’intervento di un secondo anestesista per procedere all’intubazione.

Dopo l’intubazione, il paziente era stato ricoverato nel reparto di rianimazione, ove era rimasto in stato di coma per “esiti di encefalopatia post-anossica da arresto respiratorio secondario ad edema della glottide”. Situazione che era rimasta immodificata, dopo le sue dimissioni e il suo trasferimento in altre strutture, sino al momento del decesso, avvenuto il 3 novembre 2015.

La valutazione giuridica

La Corte d’appello ha ritenuto che la condotta del dott. L.V. e quella della dott.ssa S.S. erano estranee nella causazione della patologia diagnosticata all’esito delle dimissioni dal reparto di terapia intensiva e del successivo decesso. Per altro verso il comportamento dei due medici suddetti era risultato esente da vizi che integrassero la colposa violazione delle leges artis.

Per quanto riguarda il primo medico, sono state considerate adeguate le scelte diagnostiche e terapeutiche effettuate, tra cui la somministrazione del cortisone e la prescrizione di aerosol con Clenil, avuto riguardo al quadro clinico iniziale, suggestivo per una semplice “faringite acuta febbrile con eritema faringeo”. In relazione al momento successivo allo sviluppo della dispnea “iperacuta”, “in presenza di uno dei quadri clinici di più difficile gestione in urgenza notoriamente a rischio vita, la terapia farmacologica messa in atto (adrenalina e steroidi) è stata quella indicata da Linee-guida”.

La condotta dei medici è risultata conforme alle leges artis

Con specifico riguardo alla condotta tenuta dalla dott.ssa S.S., sono state ritenute conformi alle leges artis sia la decisione di posizionare la maschera laringea per fronteggiare il problema della ventilazione del paziente e consentire la risalita della saturazione dell’ossigeno, sia il coinvolgimento del secondo anestesista ai fini della successiva intubazione.

Infine, i Giudici di appello, preso atto delle specifiche doglianze degli appellanti concernenti: l’asserito difetto di monitoraggio del paziente dal momento dell’effettuazione dell’ECG (ore 23.22) al momento dello sviluppo della dispnea “iperacuta” (ore 00.00); il mancato utilizzo del pulsossimetro, che avrebbe permesso di captare la riduzione della saturazione dell’ossigeno, scesa dal 100% al 30%; e il mancato rilievo di segni di anafilassi nonostante l’ipertensione riscontrata, ne ha espressamente evidenziato l’infondatezza, mediante il richiamo degli specifici rilievi svolti al riguardo dai CT. In primo luogo, quello secondo cui “la repentina evoluzione negativa non poteva essere prevedibile”; in secondo luogo, quello secondo cui il pulsossimetro sarebbe stato, nella fattispecie, concretamente inutilizzabile, stante la sottoposizione del paziente a terapia aerosolica; in terzo luogo, quello per cui l’anafilassi trova un suo sintomo tipico nell’ipotensione, anziché nell’ipertensione.

Il ricorso in Cassazione

I congiunti della vittima censurano la sentenza impugnata perché avrebbe omesso di considerare che, dopo l’ingresso al Pronto Soccorso, il paziente era stato “abbandonato a se stesso per 38 minuti”, tra l’esecuzione dell’ECG e l’insorgenza del quadro “iperacuto” di arresto respiratorio, durante i quali la saturazione dell’ossigeno era scesa dal 100% al 30%. E dunque se il dott. L.V., dopo avere visitato il paziente ed aver prescritto la terapia aerosolica, lo avesse sottoposto a monitoraggio diretto o indiretto, avrebbe potuto captare la graduale riduzione della funzione respiratoria.

La Suprema Corte respinge il ricorso. La circostanza di cui si lamenta l’omesso esame è stata specificamente considerata dalla sentenza impugnata, la quale l’ha ritenuta però causalmente irrilevante, in considerazione del carattere repentino e imprevedibile dell’evoluzione del quadro clinico tra lo svolgimento della terapia aerosolica e lo sviluppo della situazione di dispnea “iperacuta”.

La Corte di Appello ha correttamente escluso, sulla base delle risultanze dell’indagine peritale (tra l’altro, confermative di quelle già conseguite dalla CTU di primo grado), non solo che la condotta del dott. L.V. e della dott.ssa S.S. fossero concorse a cagionare la grave patologia improvvisamente manifestata dal paziente dopo i primi accertamenti effettuati e le prime cure ricevute in Pronto Soccorso, ma ha escluso da essa condotta la sussistenza di profili di colpa, tra l’altro prendendo espressamente posizione sulle specifiche doglianze dei familiari in ordine all’asserito mancato monitoraggio del paziente, al presunto omesso rilievo di segni di anafilassi e alla infondata censura per mancata utilizzazione del pulsossimetro.

Avv. Emanuela Foligno

Leggi anche:

- Annuncio pubblicitario -

LASCIA UN COMMENTO O RACCONTACI LA TUA STORIA

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui