Nessun dubbio sull’esistenza del nesso causale tra la condanna del sanitario e l’aggravamento delle condizioni di salute del paziente: condannata la struttura sanitaria a risarcire i danni per l’intervento chirurgico mal eseguito

L’intervento chirurgico .. mal eseguito

Un paziente aveva citato in giudizio una struttura ospedaliera al fine di sentirla condannare al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali, subiti a seguito delle lesioni personali occorse in occasione di un intervento chirurgico che egli lamentava esser stato eseguito in maniera errata.

Costituitasi in giudizio, l’Azienda ospedaliera, senza contestare l’esistenza dell’intervento sanitario, aveva eccepito l’infondatezza sia nell’an che nel quantum della pretesa risarcitoria per insussistenza del nesso eziologico, insistendo per il rigetto della domanda.

In tema di responsabilità medica dei sanitari, la giurisprudenza di legittimità ha più volte ribadito che “il nesso causale diviene la misura della relazione probabilistica concreta (e svincolata da ogni riferimento soggettivo) tra comportamento e fatto dannoso (quel comportamento e quel fatto dannoso) da ricostruirsi anche sulla base dello scopo della norma violata” (Cass. Sez. Unite n. 30328/2002; n. 21619/2007).

L’accertamento del nesso causale

Anche in tempi recenti la Cassazione (n. 23933/2013) ha ribadito “la diversità del regime probatorio applicabile, in ragione dei differenti valori sottesi ai due processi” (penale e civile) e l’applicazione in ambito civile della “preponderanza dell’evidenza o del più probabile che non” precisando, altresì, che il giudice civile potrà affermare l’esistenza del nesso causale tra illecito e danno “anche soltanto sulla base di una prova che lo renda probabile, a nulla rilevando che tale prova non sia idonea a garantire una assoluta certezza al di là di ogni ragionevole dubbio”.

Tanto premesso, il Tribunale di Napoli (sentenza n. 9685/2019) ha ritenuto di poter condividere, facendole proprie, le conclusioni mediche della CTU, poiché convincenti e fondate su “congrue ed esaurienti motivazioni e argomentazioni di carattere medico-scientifico”, ravvisando un profilo di responsabilità della struttura convenuta esclusivamente in termini di danno iatrogeno, secondo i principi della Suprema Corte.

Al fine di determinare il cosiddetto danno iatrogeno il giudice partenopeo si è concentrato sul nesso causale e sulla relativa quantificazione.

In particolare, in ordine alla quantificazione del danno ed alla sua effettiva liquidazione, ha affermato che per effettuare il corretto calcolo del danno differenziale (ovvero per “scorporare” l’aggravamento del danno alla salute del danno originario), deve procedersi “sottraendo il risarcimento effettivamente dovuto da quello che sarebbe dovuto se non vi fosse stata colpa medica ovvero se non vi fosse stato il danno iatrogeno”.

Il danno iatrogeno è, infatti, un danno differenziale per liquidare il quale occorre procedere con il metodo logico della prognosi postuma e quindi stabilire quale sarebbe stato il grado di invalidità permanente, la durata della malattia, il danno morale ed il danno patrimoniale che l’attore avrebbe subiti ove il sanitario non fosse incorso in colpa professionale nonché stabilire quale sia l’effettivo grado di invalidità permanente, l’effettiva durata della malattia, l’effettivo danno morale e l’effettivo danno patrimoniale patito dall’attore per poi, infine, detrarre il valore globale delle singole voci raggiunto dal primo calcolo dal valore globale raggiunto dal secondo calcolo.

La valutzione del consulente tecnico

Nel fattispecie esaminata, il CTU aveva quantificato in una percentuale complessiva del 48% l’incidenza della invalidità permanente derivante dalla situazione patologica di cui era affetto l’attore unitamente all’incidenza di complicanze derivanti dal teorico e corretto trattamento sanzionatorio.

Inoltre il medico legale aveva quantificato in complessivi 12% i postumi dell’intervento chirurgico di Caldwell-Luc determinando una residuale percentuale di invalidità complessiva a carico del paziente pari al 60%.

Insomma, in base a tali risultanze, “non si poteva in alcun modo escludere il raggiungimento del nesso causale tra la colpa del sanitario e il pregiudizio alla salute dell’attore concretizzatasi in un aggravamento di lesione già esistente determinata da colpa medica”.

La decisione

Pertanto, – ha affermato il Tribunale di Napoli – “la successione causale richiesta dalla giurisprudenza dominante consistente in una lesione alla salute, l’intervento del sanitario per farvi fronte, l’errore dello stesso sanitario e l’aggravamento della lesione iniziale, poteva dirsi pienamente realizzata”.

Come premesso il valore monetario della lesione alla salute subito dal paziente è determinata dalla differenza di valore della liquidazione del danno biologico complessivamente subito e da quello che sarebbe verosimilmente residuato in assenza del fatto illecito.

La determinazione concreta della liquidazione del danno, nel caso di specie, è avvenuta con applicazione dei parametri per il calcolo del danno non patrimoniale indicati dalle Tabelle del Tribunale di Milano 2018 mutuate presso il Tribunale di Napoli; così al danneggiato è stata riconosciuta la somma complessiva di 176.866,00 euro, oltre interessi.

Avv. Sabrina Caporale

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