Il figlio inabile civile, anche se maggiorenne, e a carico del genitore, ha diritto alla reversibilità della pensione del genitore deceduto (Tribunale di Chieti, Sez. Lavoro, Sentenza n. 162/2021 del 12/05/2021 RG n. 868/2020)

Con ricorso depositato il 16.09.2020 la ricorrente, premesso di aver presentato in data 08.02.2019 domanda diretta ad ottenere la pensione di reversibilità, in qualità di figlia convivente del padre, deceduto il 26.05.2011, e di non aver ottenuto positivo riscontro all’istanza, cita a giudizio l’Inps onde vedere accertato il proprio diritto alla reversibilità della pensione, con condanna dell’Istituto al pagamento della relativa prestazione.

Si costituisce in giudizio l’Inps chiedendo il rigetto della domanda.

Il Tribunale ritiene la domanda fondata.

L’art. 13 della legge n. 218 del 1952, come modificato dall’art. 22 della legge n. 903/65, prevede che, in caso di morte del pensionato o dell’assicurato, spetti una pensione ai figli di qualunque età riconosciuti inabili al lavoro e a carico del genitore al momento della morte di questi.

Ai fini del riconoscimento della pensione di reversibilità è necessario che il figlio maggiorenne, alla data della morte del genitore, sia totalmente inabile e viva a carico del genitore.

Al riguardo, la Corte di Cassazione ha affermato: ” l’accertamento del requisito della inabilità (di cui all’art. 8 della legge 12 giugno 1984 n. 222) richiesto ai fini del riconoscimento del diritto alla pensione di riversibilità ai figli superstiti del lavoratore o del pensionato, deve essere operato secondo un criterio concreto, ossia avendo riguardo al possibile impiego delle eventuali energie lavorative residue in relazione al tipo di infermità e alle generali attitudini del soggetto, in modo da verificare, anche nel caso del mancato raggiungimento di una riduzione del 100% della astratta capacità di lavoro, la permanenza di una capacità dello stesso di svolgere attività idonee nel quadro dell’art. 36 Cost. e tali da procurare una fonte di guadagno non simbolico “.

Il CTU ha affermato che “la ricorrente è affetta da “disturbo psicotico NAS ” e che per tali patologie ella fosse “soggetto inabile a qualsiasi lavoro proficuo alla data della morte del padre”.

Sussiste, dunque, in capo alla ricorrente il requisito della inabilità ai sensi dell’art. 8, L.222/1984.

Per quanto concerne, invece, il requisito della c.d. vivenza a carico, il Tribunale rileva che, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, tale requisito può dirsi sussistente allorché sia provato che il genitore defunto provvedeva in via continuativa o, quantomeno, prevalente al mantenimento del figlio inabile.

La ricorrente ha sempre convissuto con il padre defunto e negli anni 2015, 2016, 2018 e 2019, come emerge dalla documentazione prodotta, ha percepito modesti redditi propri da lavoro dipendente e autonomo, dell’importo, rispettivamente, di euro 210,00, euro 292,00, euro 136,00, certamente non idonei a soddisfare tutte le sue esigenze di vita.

Sul punto, la Suprema Corte ha affermato che ” in tema di pensione di reversibilità in favore del figlio ultradiciottenne inabile (art. 13 legge n. 218 del 1953, come modificato dall’art. 22 legge n. 903 del 1965) e agli effetti del requisito della prevalenza del contributo economico continuativo del genitore nel mantenimento del figlio inabile, ragioni di certezza giuridica, di parità di trattamento, di tutela di valori costituzionalmente protetti (artt.3 e 38 Cost.) impongono criteri quantitativi certi che assicurino eguale trattamento ai superstiti inabili, quali si desumono dalla deliberazione dell’istituto previdenziale n. 478 del 2000 e al riferimento, ivi enunciato, ad indici stabiliti per legge nonché di considerare a carico i figli maggiorenni inabili che hanno un reddito non superiore a quello richiesto dalla legge per il diritto alla pensione di invalido civile totale”.

Ergo, secondo tale impostazione, il requisito della vivenza a carico sussiste anche nel caso in cui il figlio inabile maggiorenne goda di un reddito proprio, qualora questo non superi i limiti reddituali previsti per il godimento della pensione di inabilità, limiti che in capo alla ricorrente non risultano superati.

Per tali ragioni la domanda viene accolta e l’Inps è obbligato al pagamento in favore della ricorrente della pensione di reversibilità spettante ai figli superstiti con decorrenza dal primo giorno del mese successivo a quello di decesso del pensionato, oltre interessi legali dalla medesima data al saldo.

Le spese di lite seguono la regola della soccombenza e vengono poste integralmente a carico dell’Istituto.

In conclusione, il Tribunale di Chieti, in funzione di Giudice del Lavoro, accoglie la domanda e condanna l’Inps al pagamento in favore della ricorrente della pensione di reversibilità con decorrenza dal primo giorno del mese successivo a quello di decesso del padre pensionato, oltre interessi legali dalla medesima data al saldo; condanna l’Inps al rimborso in favore della ricorrente delle spese di lite, liquidate in euro 5.135,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15%, e accessori di legge; pone le spese di CTU a carico dell’INPS.

Avv. Emanuela Foligno

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