Consiglio di Stato – Sezione Sesta, Sentenza 21 luglio 2016, n. 3304

Il Consiglio di Stato, in linea con la giurisprudenza maggioritaria, ha riconosciuto la qualifica della chance come bene della vita, consistente nell’attuale possibilità di ottenere un’utilità futura e, pertanto, suscettibile di autonoma tutela risarcitoria.

La vicenda prende origine dalla richiesta di risarcimento danni che un privato cittadino avanzava nei confronti dell’Università di Firenze e del Ministero dell’Istruzione, per la lesione derivante dalla mancata nomina a ricercatore universitario in conseguenza ad una procedura concorsuale che, al contrario, aveva visto quale unico vincitore un altro concorrente.

All’esito del primo grado di giudizio, il TAR Toscana, rimetteva gli atti alla Commissione esaminatrice, che  questa volta dichiarava il ricorrente meritevole dell’ambita nomina di ricercatore.

Quest’ultimo, tuttavia, si duoleva del fatto che il decreto di nomina citato, aveva anteposto la data di decorrenza degli effetti giuridici al 1993, anno di effettivo espletamento del concorso, mentre quelli relativi al trattamento economico solo all’anno 2003, data di assunzione dell’incarico.

La questione veniva cosi sottoposta al vaglio Consiglio di Stato in questi nuovi termini. Da una parte il risarcimento conseguente al mancato riconoscimento di una remunerazione economica che tenesse in considerazione il periodo “vacante” dal 1993 al 2003, dall’altra, la perdita di chance per non aver potuto accedere alle superiori qualifiche di professore associato e di professore ordinario, come possibile conseguenza della nomina a ricercatore universitario.

Sul punto, il giudice di primo grado si era gia espresso in senso negativo, qualificando la pretesa perdita di chanche “una situazione indimostrata ed indimostrabile in quanto del tutto ipotetica ed eventuale”.

Di parere contrario è stato invece, il Consiglio di Stato, il quale al contrario l’ha definita una “possibilità effettiva” corroborata dalla circostanza per la quale “si tratta di una progressione di carriera che, in base all’id quod plerumque accidit, è normalmente connessa alla carriera universitaria”. E, ancorché non vi possa essere la certezza che ciò accada, “subordinare il risarcimento del danno alla certezza del risultato finale significherebbe disconoscere tout court la tutela risarcitoria della chance; che invece, come in più occasioni affermato dalla giurisprudenza sia civile sia amministrativa, rappresenta un bene della vita, consistente nell’attuale possibilità di ottenere un’utilità futura, meritevole di autonoma tutela risarcitoria, la cui lesione da luogo ad un danno emergente e non ad un lucro cessante”.

A ulteriore giustificazione di quanto affermato, i Giudici amministrativi, hanno altresì aggiunto che alla base della tesi della causalità materiale nell’ambito dell’illecito aquiliano vi è di fatto, il criterio della condicio sine qua non, che non implica una certezza assoluta ma, al contrario, fonda la prova della responsabilità su una condotta controversa che risulti quella più probabile rispetto ad un’ipotesi alternativa.

Ebbene, nel caso in esame “è certo che il conseguimento della qualifica di professore rappresenta una ipotesi altamente plausibile e tale, quindi, da configurare in capo al ricorrente una chance meritevole di tutela risarcitoria”.

La vicenda sin qui esposta, merita qualche ulteriore riflessione

Orbene, affinché ricorra il danno da perdita di chance, occorre che la lesione lamentata, consista nella perdita di un’occasione favorevole di cui il soggetto danneggiato si sarebbe avvalso con ragionevole certezza, ossia nella elisione di un bene, giuridicamente ed economicamente rilevante, già esistente nel patrimonio del soggetto al momento del verificarsi dell’evento dannoso.

Secondo parte della dottrina, con l’avvento del danno da perdita di chance si è determinata “un’estensione dei confini dei pregiudizi risarcibili” (Pasquinelli, 2006). Mentre il risarcimento del danno patrimoniale ha tradizionalmente ristoro di compromissioni di beni attualmente presenti nel patrimonio della vittima, o di beni che vi sarebbero, comunque entrati in futuro, con la figura del danno da perdita di chances si riconosce la risarcibilità di un’entità di natura differente, ed in particolare della fondata aspettativa all’acquisto futuro di un bene, che è risultata vanificata dall’evento dannoso (Pasquinelli, 2006).

Sotto questo profilo è stato, altresì, osservato che la chance va tenuta nettamente distinta dal risultato favorevole cui mira; una cosa, infatti, è la speranza, l’occasione propizia, altra cosa è, invece, il concreto realizzarsi di ciò che, precedentemente, era solo un’opportunità (Peccenini, 2000).

L’autorevole dottrina sinora citata vede, in altre parole, la chance come “qualcosa di meno di un bene o di un diritto, consistendo nella fondata e legittima aspettativa di acquisire un bene” (Pasquinelli, 2006).

La Suprema Corte ha, tuttavia, riconosciuto la risarcibilità del danno da perdita di chances giá nell’anno 1985, laddove sostenne che “la probabilità, effettiva e congrua, di conseguire un certo bene è anch’essa un bene patrimoniale, economicamente e giuridicamente valutabile, la cui perdita produce un danno attuale  e risarcibile qualora ne sia provata la sussistenza anche secondo un calcolo di probabilità o per presunzioni se, cioè, possa essere dimostrata con certezza pur soltanto relativa, e non assoluta, ma come tale sufficiente” (Cass., 19.12.1985, n. 6506).

Più di recente la stessa Corte ha affermato che la chance è anch’essa una entità patrimoniale giuridicamnete ed economicamente valutabile, la cui perdita produce un danno attuale e risarcibile, qualora si accerti, anche utilizzando elementi presuntivi, la ragionevole probabilità della esistenza di detta chance intesa come attitudine attuale (Cass., 12243/2007). Ed é propfio su auesta linea che quest’oggi giunge la pronuncia del Consiglio di Stato in commento.

Ma quali sono i presupposti cui è subordinata la risarcibilità di siffatto pregiudizio?

L’orientamento giurisprudenziale maggioritario sostiene che, il creditore che voglia ottenere, oltre il rimborso delle spese sostenute, anche i danni derivanti dalla perdita di chance – che come anticipato rappresenta la concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene, non è una mera aspettativa di fatto ma un’entità patrimoniale a sé tante, giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione – ha l’onere di provare, pur se solo in modo presuntivo o secondo un calcolo di probabilità, la realizzazione in concreto di alcuni dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato e impedito dalla condotta illecita della quale il danno risarcibile dev’essere conseguenza immediata e diretta (Cass., Sez. III, 11.12.2003, 18945).

Nella dimostrazione del danno per perdita di chance, l’attore sarà dunque tenuto a dimostrare, tramite gli ordinari mezzi istruttori (es. prova testimoniale o prova documentale), le circostanze di fatto dalle quali sarebbe derivata la probabilità dell’avveramento dell’utilità sperata e invece, compromesso dal fatto illecito.

Si comprende bene, dunque, che la chance, termine che letteralmente può tradursi come “sorte”, “fortuna” ha assunto a livello giuridico, il più specifico significato di “probabilità di ottenere un certo risultato o vantaggio sperato” e in quanto tale, suscettibile di autonoma tutela patrimoniale.

Avv. Sabrina Caporale

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