La rinuncia all’assistenza sanitaria non compete al cittadino, ciò in ragione della responsabilità delle strutture preposte e perché il sistema sanitario assiste la persona in ragione del diritto garantito dall’art. 32 della Costituzione e la legge lo assegna ad ogni cittadino, e non cittadino, che abbia titolo di residenza nello Stato, qualora ne abbia bisogno

Lo ha affermato la Suprema Corte di Cassazione nell’ambito della vicenda giudiziaria che ha visti coinvolti due genitori in causa contro un’A.S.L. toscana in relazione alle spese mediche per le cure necessarie alla propria figlia disabile

La vicenda

Nel giugno del 2013, la Corte d’appello di Firenze, in parziale riforma della sentenza impugnata, aveva accolto la domanda di due coniugi, in proprio e in qualità di esercenti la potestà genitoriale sulla loro figlia minore, per il rimborso delle spese mediche sostenute negli Stati Uniti per curare la loro piccola, proposta nei confronti della A.S.L. e della Regione Toscana.
Nell’accogliere l’appello incidentale dei genitori, i giudici di merito avevano ritenuto: rimborsabili le spese per la terapia eseguita all’estero; irrilevante, e non preclusiva del rimborso, la transazione intervenuta tra le parti nel giudizio civile risarcitorio, per responsabilità medico-sanitaria, promosso dai genitori della minore nei confronti della ASL e dei medici ritenuti responsabili della gravissima patologia della quale era risultata affetta al momento del parto.
Contro tale decisione, l’A.S.L. e la Regione Toscana hanno presentato ricorso per cassazione denunciando tra gli altri motivi, l’errata interpretazione e l’omessa valorizzazione dell’accordo transattivo intervenuto tra le parti, omettendo la verifica della ricomprensione, nel predetto atto, anche dell’onere economico delle spese mediche che si sarebbero rese necessarie in futuro in considerazione del particolare stato di salute.

Ma per i giudici della Cassazione entrambi i ricorsi erano infondati.

Si discute della violazione dei criteri di ermeneutica contrattuale che la Corte di merito – a detta delle ricorrenti – avrebbe operato senza alcuna operazione interpretativa della volontà negoziale (transattiva) delle parti.
Secondo la Corte di Cassazione, invece, il vero fulcro della decisione riguardava la rinunciabilità da parte dei genitori della minore al sistema di assistenza sanitaria.
Ebbene, «tale rinuncia –affermano gli Ermellini – non compete al cittadino in ragione della responsabilità delle strutture preposte e ciò perché il sistema sanitario assiste la persona in ragione del diritto garantito dall’art. 32 della Costituzione e la legge lo assegna ad ogni cittadino, e non cittadino, che abbia titolo di residenza nello Stato, che ne abbia bisogno».
La sentenza impugnata aveva, correttamente rimarcato che «il diritto all’assistenza sanitaria della minore, quand’anche le sue condizioni non fossero imputabili a responsabilità della struttura sanitaria, sussisterebbe se si trattasse di terapie da effettuare in Italia senza mettere in dubbio che l’avvenuto risarcimento del danno ne comprometterebbe l’intervento assistenziale e che, benché il rimborso sia suggestivo di una funzione risarcitoria, l’autorizzazione della cura all’estero, per ragioni di tempi e professionalità, benché si risolva in un esborso e non nella mera prestazione del servizio, in nulla differisce dall’assistenza comunque dovuta dal servizio sanitario».
Per tali motivi i ricorsi non coglievano nel segno e la Corte di Cassazione li ha rigettati, con conseguente condanna alle spese.

Dott.ssa Sabrina Caporale

 
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