Viene chiamata in giudizio l’ASL di Udine per sentirne accertare la responsabilità in relazione ai numerosi interventi chirurgici cui era stato sottoposto il paziente dopo un trapianto di pancreas e reni. L’uomo è poi deceduto a seguito di un nuovo intervento chirurgico.

La Corte d’Appello, pur confermando la responsabilità dell’ASL, riduce gli importi risarcitori. Decisione confermata anche dalla Cassazione Civile, sez. III, 28/12/2023, n.36290.

La vicenda

Il paziente era stato sottoposto a trapianto di rene e pancreas perché affetto da nefropatia diabetica. A causa di complicanze conseguenti alla non corretta esecuzione dell’operazione, il paziente era stato sottoposto ad altri successivi otto interventi chirurgici in rapida successione e aveva subito anche l’amputazione dell’arto inferiore destro. Il decesso avveniva dopo un intervento di asportazione di un’ansa intestinale erniata ed ischemica e di lisi di numerose aderenze addominali.

La consulenza medico-legale, disposta dalla Procura della Repubblica di Pordenone, aveva escluso profili di responsabilità dei sanitari che avevano eseguito l’ultimo intervento, ricollegando invece la morte del paziente all’insorgere di complicanze intestinali tardive determinate dai numerosi interventi eseguiti negli anni. Più nello specifico, secondo i Consulenti penali, “si era trattato, più precisamente, di una sindrome multiaderenziale peritoneale a causa della quale un’ansa di intestino tenue è rimasta “strozzata” e, non ricevendo un adeguato apporto di sangue, è andata in necrosi rendendo necessaria la sua resezione”.

L’Azienda si costituiva in giudizio e chiamava in causa, per l’eventuale manleva, le compagnie assicuratrici QBE Insurance e AMTRUST Europe Limited che eccepivano la inoperatività della garanzia assicurativa e contestando, comunque, le richieste risarcitorie.

Il Tribunale di Udine condannava l’ASL al risarcimento dei danni, liquidati in complessivi €1.257.916,93, e la Reliance Limited (subentrata alla QBE Insurance) a tenere indenne l’assicurata per gli importi eccedenti la franchigia di €500.000.

La Corte di Appello rivede gli importi del risarcimento

La Corte di Appello di Trieste riduceva il risarcimento a €397.696,80 perché ricalcolava il danno da invalidità temporanea e permanente (spettante iure successionis agli eredi) in €177.145,20, in luogo dei 765.216,93 liquidati dal Tribunale, rapportandolo all’effettiva permanenza in vita del danneggiato. Ha poi escluso che spettasse ai congiunti il danno da perdita del rapporto parentale, mentre ha ritenuto spettante il danno non patrimoniale correlato alla sofferenze patite dalla moglie e dal figlio del paziente finché lo stesso era rimasto in vita, in conseguenza delle menomazioni dopo il trapianto e delle necessità di accudimento.

Il giudizio di Cassazione

I congiunti lamentano l’omesso esame delle cause del decesso emerso dall’esame autoptico richiesto in sede penale. Sostengono che il Consulente del PM rilevava che i numerosi interventi chirurgici a cui il paziente era stato sottoposto dopo il trapianto avevano determinato “una sindrome multiaderenziale che aveva causato la strozzatura di un’ansa dell’intestino e la conseguente necrosi della stessa, con ciò fornendo elementi che non erano stati efficacemente contrastati dal CTU nominato in sede civile, il quale, pur rilevando che “più interventi addominali vengono eseguiti e più si incrementa il rischio di complicanze aderenziale successive”, aveva concluso affermando di non essere in grado di rispondere al quesito sottopostogli”.

Lamentano, inoltre, che il Giudice di secondo grado abbia fondato la propria decisione sull’assunto dell’esclusione del nesso di causalità materiale da parte del CTU di sede civile, rilevando che l'”esclusione (…) oggettivamente non esiste nel contenuto della consulenza tecnica d’ufficio”, giacché, come rilevato dal primo giudice, l’affermazione circa l’impossibilità di stabilire se il quadro occlusivo fosse da attribuire all’uno o all’altro degli interventi eseguiti negli anni (Omissis) era dipesa dal tentativo erroneo del CTU di operare una “ricostruzione del nesso causale tra malpractice sanitaria e successivo decesso in termini più vicini all’assoluta certezza probabilistica che alla regola civilistica del “più probabile che non”.

Le censure contestano la CTU svolta in sede civile

In buona sostanza tutte le censure avanzate al vaglio della S.C. ruotano, sotto diversi profili, intorno alla contestazione degli esiti della CTU svolta in sede civile e della sentenza che l’ha recepita, sull’assunto dell’idoneità della Consulenza compiuta in sede penale a superare ogni ragione di dubbio e a comprovare la derivazione causale del decesso dalle aderenze provocate dagli interventi chirurgici effettuati dopo il trapianto. Ebbene, tutto ciò sottende un apprezzamento di inaffidabilità della CTU civile finalizzato a un non consentito vaglio di merito da parte della Cassazione.

Oltretutto, non può essere configurabile l’omesso esame di fatti decisivi in relazione a mere risultanze istruttorie, una volta che il fatto rilevante (ovverosia le aderenze conseguenti agli interventi) risulti esaminato.

La Corte di Appello ha considerato anche la Consulenza civile, ma tuttavia non ha condiviso la conclusone del primo Giudice che su tale consulenza si era basato, ed ha espresso chiaramente il percorso logico-giuridico che l’ha condotta a rigettare la pretesa risarcitoria.

Il ricorso viene rigettato.

Avv. Emanuela Foligno

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