Per giustificare un permesso ex legge 104 non è necessaria la permanenza presso il disabile per tutta la giornata

L’assistenza sanitaria a distanza è possibile. Lo ha detto, nella sentenza 16930/2020, la Suprema Corte di Cassazione che ha dichiarato essere legittimo rimanere a casa, in forza della legge 104, pronti a intervenire in caso di necessità.

Sostiene infatti la Corte che rimanere con il disabile 20 minuti e poi tornare a casa propria disponibili a farvi ritorno se necessario, sia pienamente in linea con le finalità e la ratio della legge 104. Il nesso causale tra assenza dal lavoro e assistenza al parente disabile è infatti indipendente dal fatto che il lavoratore con permesso ex legge 104 si trattenga per tutto il giorno presso la persona bisognosa di assistenza.

Nel caso di specie l’azienda che aveva licenziato una lavoratrice accusandola di aver abusato del permesso ai sensi della legge 104 è stata obbligata alla riassunzione della stessa e a corrisponderle una indennità commisurata alla retribuzione percepita. Le condotte che rappresentano invece un abuso e sono quindi da considerarsi illecite sono quelle che utilizzano il permesso ai sensi della 104 per lo svolgimento di attività personali, del tutto estranee alle necessità del disabile, o per vacanze. Tali condotte sono palesemente lesive del principio di buona fede che dovrebbe informare il rapporto tra lavoratore e datore di lavoro.

L’assistenza che legittima il beneficio in favore del lavoratore, pur non potendo intendersi esclusiva al punto da impedire a chi la offre di dedicare spazi temporali adeguati  alle personali esigenze di vita, deve comunque garantire al familiare disabile in situazione di gravità di cui all’articolo 3 della l. n. 104 del 1992 un intervento assistenziale di carattere permanente, continuativo e globale….solo ove venga a mancare del tutto il nesso causale fra assenza dal lavoro ed assistenza al disabile, si è in presenza di un uso improprio o di un abuso del diritto ovvero di una grave violazione dei doveri di correttezza e buona fede sia nei confronti del datore di lavoro che dell’ente assicurativo che genera la responsabilità del dipendente”.

                                                               Avv. Claudia Poscia

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