Lesioni personali e divieto di reformatio in pejus (Cass. pen., sez. I, dep. 30 novembre 2022, n. 45466).

Lesioni personali: la Suprema Corte torna sul divieto di reformatio in peius.

Pur in assenza di appello della pubblica accusa, la Corte territoriale riqualificava i fatti in una fattispecie più grave di reato.

L’imputato veniva condannato in primo grado per lesioni personali volontarie, a fronte dell’originario capo di imputazione per tentato omicidio.

L’uomo, all’uscita di una discoteca aveva avuto una discussione con un altro gruppo di ragazzi, dai quali veniva colpito mentre si stava allontanando in auto. Per reagire, colpiva a sua volta con la macchina sette membri del gruppo rivale con ripetute manovre, causando ad essi diverse lesioni.

La condanna per lesioni del primo grado viene impugnata, ma la Corte di appello di Salerno riformava in pejus condannando l’uomo per tentato omicidio.

La decisione viene impugnata in Cassazione  dove viene lamentata la illegittima reformatio in pejus.

La censura è fondata.

La Suprema Corte ritiene illegittima la reformatio in peius sulla qualificazione del fatto e ribadisce  che l’art. 597, comma 3 c.p.p. prevede che in caso di solo appello dell’imputato il Giudice non possa irrogare una pena più grave, applicare una nuova o più grave misura di sicurezza o prosciogliere per causa meno favorevole, “salva la facoltà, entro i limiti del comma 1, di dare al fatto una definizione giuridica più grave, purché non venga superata la competenza del Giudice di primo grado”.

La medesima norma, al primo comma, dispone che “l’appello attribuisce al Giudice di secondo grado la cognizione del procedimento limitatamente ai punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti”.

Gli Ermellini rammentano i concetti di “capo della sentenza” e “punti della decisione”.

La nozione di “capo della sentenza” «è riferita soprattutto alla sentenza plurima o cumulativa, caratterizzata dalla confluenza nell’unico processo dell’esercizio di più azioni penali e dalla costituzione di una pluralità di rapporti processuali, ciascuno dei quali inerisce ad una singola imputazione, sicché per capo deve intendersi ciascuna decisione emessa relativamente ad uno dei reati attribuiti all’imputato» (Cass. pen., sez. unite, 19 gennaio 2000, n. 1).

Sui “punti della decisione”, la medesima sentenza chiarisce che «ad ogni capo corrisponde una pluralità di punti della decisione, ognuno dei quali segna un passaggio obbligato per la completa definizione di ciascuna imputazione, sulla quale il potere giurisdizionale del giudice non può considerarsi esaurito se non quando siano stati decisi tutti i punti, che costituiscono i presupposti della pronuncia finale su ogni reato, quali l’accertamento del fatto, l’attribuzione di esso all’imputato, la qualificazione giuridica, l’inesistenza di cause di giustificazione, la colpevolezza e – nel caso di condanna – l’accertamento delle circostanze aggravanti ed attenuanti e la relativa comparazione, la determinazione della pena, la sospensione condizionale di essa, e le altre eventuali questioni dedotte dalle parti o rilevabili d’ufficio».

In definitiva, non è possibile individuare un punto della decisione unico sulla ricostruzione del fatto che consenta di ridiscutere sia l’accertamento del fatto storico, che l’attribuzione all’imputato, che la qualificazione giuridica.

il Tribunale di Nocera Inferiore aveva riqualificato il fatto in quello di lesioni personali volontarie aggravate plurime, non ritenendo sussistente il dolo omicidiario. La Corte d’appello di Salerno aveva riqualificato il fatto in quello di tentato omicidio plurimo, originariamente contestato, ferma restando la pena inflitta in concreto dal Giudice di primo grado.

Ergo sussiste errata applicazione del terzo comma dell’art. 597 cpp.

Il ricorso dell’imputato viene accolto limitatamente al secondo motivo inerente la qualificazione giuridica del fatto e la sentenza annullata senza rinvio, quindi viene ripristinata la qualificazione giuridica della condanna in primo grado.

Avv. Emanuela Foligno

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