Condannato per lesioni personali un genitore che ha colpito il figlio con un telecomando per un gesto di stizza

Colpire il proprio figlio per un gesto di stizza, secondo la Corte di Cassazione, è ascrivibile al reato di lesioni personali, regolamentato dall’articolo 582 del Codice Penale. La Cassazione si è espressa in merito con la sentenza n. 25936 del 24 maggio 2017.
Nel caso in oggetto, il Tribunale di Perugia ha condannato una madre per aver procurato lesioni personali al figlio minorenne colpendolo in volto con un telecomando, lanciato da breve distanza.
La madre ha giustificato il gesto come la reazione ad un momento di irritazione provocata dal figlio, un “gesto di stizza, compiuto senza volontà di colpire il figlio” e per questo non imputabile.
La sentenza non riconosce quindi l’attenuante della provocazione, stabilendo che nei casi di maltrattamenti in famiglia o di lesioni personali gli stati emotivi – come il gesto di stizza della signora – non vanno considerati come una diminuzione della imputabilità, costituendo, al contrario, uno dei possibili moventi dell’ipotesi di reato.
Insoddisfatta del giudizio la madre si è rivolta alla Corte d’Appello di Perugia che ha però ribadito il primo giudizio condannandola per lesioni personali ai danni del figlio.
Secondo la Corte la responsabilità della donna emerge dalle testimonianze dell’altro figlio, secondo cui la madre ha lanciato il telecomando sul viso del fratello, colpendolo alla bocca e facendogli uscire del sangue. A convalidare la tesi del ragazzo anche il medico legale che ha visitato il bambino colpito nel corso del dibattimento, ritenendo che la ferita alla bocca era compatibile con il colpo subito e non – secondo quanto riportato dalla madre – una lesione al labbro procuratasi dal bambino stesso.
La Cassazione ha stabilito che il ricorso dell’imputata è inammissibile in quanto la sentenza non poteva essere impugnata perché ha fornito una “logica e coerente motivazione in ordine alla ricostruzione dei fatti”. Anche la Cassazione ha quindi confermato integralmente il giudizio di condanna, imponendo alla donna anche il pagamento delle spese processuali.

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