La Cassazione si è pronunciata sulla liquidazione del danno subito da un bambino al momento del parto che ha aggravato una leucomalacia periventricolare già presente

In sede di liquidazione del danno si deve tener conto della pregressa patologia costituente causa naturale non imputabile. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 20829/2018.

Gli Ermellini si sono pronunciati sul caso di bambino, ai quali il team sanitario aveva causato durante il parto ipossia fetale e insulto ipossico cronico. Tali patologie “avevano aggravato il danno già esistente per ignota condizione primitiva del minore”.

In secondo grado era stato riconosciuto un danno del 50%. La Corte territoriale, tuttavia, aveva poi ha “liquidato il danno per l’intero e non nella misura attribuita ai sanitari”.

La Suprema Corte ha invece ritenuto di sottolineare “la carenza diagnostica da parte dell’equipe ospedaliera”. Inoltre, i Giudici del Palazzaccio hanno evidenziato la leucomalacia periventricolare presente nel bambino e originata da ignota condizione primitiva che “sussisteva anteriormente al parto”.

Tale condizione è stata “riconosciuta come antecedente causa naturale non imputabile priva di interdipendenza funzionale con l’accertata condotta colpevole dei sanitari che hanno assistito al parto”.

La Cassazione ha quindi ribadito la validità del principio causale puro non essendo ammissibile “la comparazione tra causa umana imputabile e causa naturale, ma solo tra comportamenti umani colposi”.

Inoltre, precisano dal Palazzaccio, la valutazione equitativa non attiene propriamente “all’accertamento del fatto costitutivo risarcibile, cui il nesso di casualità appartiene”. Essa si riferisce, invece, “alla determinazione dell’ammontare (art. 1226 c.c.) del danno conseguenza risarcibile”.

Pertanto, con un cambiamento di rotta rispetto al precedente orientamento giurisprudenziale di legittimità, i Giudici hanno sancito che della causa non imputabile “deve tenersi conto (solo) in sede di liquidazione del quantum risarcitorio mediante la relativa valutazione equitativa ex art. 1226 c.c.”.

 

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