Danno biologico terminale in caso di malattia professionale (Cassazione civile, sez. lav.,   dep. 15/12/2022, n.36841

Danno biologico terminale per il decesso del lavoratore causato da malattia professionale.

La Corte d’Appello di Genova, in parziale riforma, ha condannato il datore di lavoro al pagamento in favore degli eredi del lavoratore deceduto il 17/02/2006 per mesotelioma pleurico, diagnosticatogli all’inizio del 2005 e riconosciuto dall’INAIL come malattia professionale, della somma complessiva di Euro 79.213,44 a titolo di risarcimento del danno iure hereditatis,  e confermato la condanna della società al pagamento delle rispettive somme di Euro 200.000,00 in favore della vedova e di Euro 163.990,00 per ciascuno dei tre figli a titolo di risarcimento del danno per la perdita parentale

Gli eredi propongono ricorso per cassazione lamentando violazione del principio di specificità dei motivi di appello e inadeguatezza del risarcimento del danno non patrimoniale.

La seconda censura viene ritenuta fondata.

Il danno subito dalla vittima, nell’ipotesi in cui la morte sopravvenga dopo apprezzabile lasso di tempo dall’evento lesivo, è configurabile e trasmissibile agli eredi nella duplice componente di danno biologico terminale, cioè di danno biologico da invalidità temporanea assoluta, e di danno morale consistente nella sofferenza patita dal danneggiato che lucidamente e coscientemente assiste allo spegnersi della propria vita.

La liquidazione equitativa di tale danno viene effettuata commisurando la componente del danno biologico all’indennizzo da invalidità temporanea assoluta e valutando la componente morale del danno non patrimoniale mediante una personalizzazione che tenga conto dell’entità e dell’intensità delle conseguenze derivanti dalla lesione della salute in vista del prevedibile exitus.

Con la pronuncia n. 12041/2020, cui la Corte dà continuità, si è chiarito che:

“a) in caso di malattia professionale o infortunio sul lavoro con esito mortale, che abbia determinato il decesso non immediato della vittima, al danno biologico terminale, consistente in un danno biologico da invalidità temporanea totale (sempre presente e che si protrae dalla data dell’evento lesivo fino a quella del decesso), può sommarsi una componente di sofferenza psichica (danno catastrofale), sicché, mentre nel primo caso la liquidazione può essere effettuata sulla base delle tabelle relative all’invalidità temporanea, nel secondo la natura peculiare del pregiudizio comporta la necessità di una liquidazione che si affidi ad un criterio equitativo puro, che tenga conto della “enormità” del pregiudizio, giacché tale danno, sebbene temporaneo, è massimo nella sua entità ed intensità, tanto da esitare nella morte (cfr. Cass. n. 23183/2014, n. 15491/2014);

b) si tratta di danni che vanno tenuti distinti e liquidati con criteri diversi;

c) per il danno biologico da invalidità temporanea totale (sempre presente e che si protrae dalla data dell’evento lesivo fino a quella del decesso) la liquidazione può ben essere effettuata sulla base delle tabelle relative all’invalidità temporanea e deve essere effettuata in relazione alla menomazione dell’integrità fisica patita dal danneggiato sino al decesso; tale danno, qualificabile come danno “biologico terminale”, dà luogo ad una pretesa risarcitoria, trasmissibile “iure hereditatis” da commisurare soltanto all’inabilità temporanea, adeguando tuttavia la liquidazione alle circostanze del caso concreto, ossia al fatto che, se pur temporaneo, tale danno è massimo nella sua intensità ed entità, tanto che la lesione alla salute non è suscettibile di recupero ed esita, anzi, nella morte;

d) invece il danno catastrofale – che integra un danno non patrimoniale di natura del tutto peculiare consistente nella sofferenza patita dalla vittima che lucidamente e coscientemente assiste allo spegnersi della propria vita – comporta la necessità di una liquidazione che si affidi a un criterio equitativo denominato “puro” – ancorché sempre puntualmente correlato alle circostanze del caso – che sappia tener conto della sofferenza interiore psichica di massimo livello, correlata alla consapevolezza dell’approssimarsi della fine della vita, la quale deve essere misurata secondo criteri di proporzionalità e di equità adeguati alla sua particolare rilevanza ed entità, e all’enormità del pregiudizio sofferto a livello psichico in quella determinata circostanza (vedi, tra le altre, Cass. n. 23183/2014);

e) ai fini della sussistenza del danno catastrofale, la durata di tale consapevolezza non rileva ai fini della sua oggettiva configurabilità, ma per la sua quantificazione secondo i suindicati criteri di proporzionalità e di equità (in termini: Cass. n. 16592/2019; v. pure Cass. n. 23153/2019, n. 21837/2019)”

La Corte d’Appello di Genova ha considerato unitariamente il pregiudizio del dante causa, quale danno biologico terminale ricomprendente sia il danno da lucida agonia o morale catastrofale, che quello biologico ordinario.

Ergo, non risultano rispettati i principi di diritto rammentati dagli Ermellini e la decisione impugnata viene cassata con rinvio alla Corte di appello, in diversa composizione, che dovrà uniformarsi ai principi di diritto richiamati.

OSSERVAZIONI

Con la decisione a commento la Suprema Corte da continuità al principio che nega l’unitaria liquidazione del danno biologico terminale e del danno da lucida agonia. Sono poste risarcitorie distinte che debbono essere liquidate (e valutate) distintamente.

Tali principi, che possono tranquillamente definirsi già consolidati, si devono applicare anche in caso di decesso per malattia professionale o infortunio sul lavoro. Ciò che non muta, rispetto alla ” responsabilità civile da illecito” è che bisogna tenere in considerazione il decesso non immediato della vittima.

Il danno biologico terminale, giova rammentarlo, consiste in un danno biologico da invalidità temporanea totale (dalla data dell’evento lesivo fino a quella del decesso), a cui può essere sommato il danno catastrofale (sofferenza psichica). Ne deriva che nel danno biologico terminale la liquidazione deve essere effettuata attraverso il sistema tabellare; in caso di danno catastrofale, invece, sopraggiunge il criterio equitativo puro, che deve tenere conto dell’importanza del pregiudizio nel caso concreto.

Avv. Emanuela Foligno

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