Esiste un precario bilanciamento di interessi costituzionali in materia di maternità surrogata. Parte della giurisprudenza di merito ritiene che le scelte legislative che pongono limiti alle modalità di procreazione non possono ricadere su chi è nato, il quale ha il diritto fondamentale alla conservazione dello status filiationis, legittimamente acquisito all’estero

Ciò in quanto non può rappresentare un ostacolo al riconoscimento della genitorialità l’insussistenza di un legame genetico tra i minori ed il genitore.
Ma le Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza in commento, hanno ribadito che la maternità surrogata è vietata nel nostro ordinamento in quanto pratica contraria all’ordine pubblico e per tali motivi ha definitivamente negato la trascrizione nei registri dello stato civile italiano del provvedimento del Giudice canadese che aveva accertato il rapporto di filiazione tra un minore, nato all’estero mediante il ricorso a siffatta pratica di procreazione ed il ricorrente (c.d. genitore d’intenzione), per l’assenza di legame biologico tra loro.

La vicenda

Il minore era stato generato mediante procreazione medicalmente assistita, a seguito del reperimento di una donatrice di ovociti e di un’altra donna disposta a sostenere la gravidanza. Tutta la vicenda si era svolta in Canada.
Ebbene, dopo un primo provvedimento giudiziale, regolarmente trascritto in Italia, con cui il Giudice canadese aveva riconosciuto che la gestante non era genitrice dei minori e che l’unico genitore era uno dei due ricorrenti l’ufficiale di stato civile, con atto del maggio 2016, aveva rifiutato di trascrivere quell’ oggetto della domanda, con cui era stata riconosciuta la cogenitorialità dell’altro partner e disposto l’emendamento degli atti di nascita.
La coppia omosessuale propose allora, ricorso alla Corte d’appello di Trento, per sentir riconoscere, ai sensi dell’art. 67 della legge 31 maggio 1995, n. 218, l’efficacia nell’ordinamento italiano del provvedimento emesso nel gennaio 2011 dalla Superior Court of Justice dell’Ontario (Canada), con cui era stato accertato il rapporto di genitorialità tra il ricorrente ed i minori, e per sentirne ordinare la trascrizione negli atti di nascita di questi ultimi da parte dell’ufficiale di stato civile del Comune di Trento.

Ordine pubblico o interesse del minore?

Nel giudizio, si costituì anche il Ministero dell’interno, a difesa del provvedimento emesso dal Sindaco di Trento, affermando anch’esso che, in assenza di una relazione biologica tra il ricorrente ed i minori, il riconoscimento dell’efficacia del provvedimento emesso dal Giudice canadese si poneva in contrasto con l’ordine pubblico.
Ma con ordinanza del 23 febbraio 2017, la Corte d’appello di Trento accoglieva la domanda, precisando che nel caso di specie l’unico requisito in contestazione ai fini del riconoscimento dell’efficacia del provvedimento straniero era costituito dalla compatibilità con l’ordine pubblico internazionale.
Ciò posto, aveva ritenuto di dover attribuire rilievo alla tutela dell’interesse superiore del minore, ed in particolare al diritto alla conservazione dello status di figlio riconosciutogli in un atto validamente formato in un altro Stato, come conseguenza diretta del favor filiationis emergente dagli artt. 13, comma terzo, e 33, commi primo e secondo, della legge n. 218 del 1995 ed implicitamente riconosciuto dall’art. 8, par. 1, della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo.
Il mancato riconoscimento del predetto status avrebbe determinato un evidente pregiudizio per il minore, precludendo il riconoscimento in Italia di tutti i suoi diritti, avrebbe inoltre, impedito al ricorrente di assumere la responsabilità genitoriale nei suoi confronti, privando di rilievo giuridico nel nostro ordinamento, l’identità familiare ed i legami familiari legittimamente acquisiti in Canada.

Il divieto di maternità surrogata in Italia

Detto in altri termini, pur rilevando che, a differenza di quella canadese, la disciplina vigente in Italia non consente il ricorso alla maternità surrogata, (in quanto la legge 19 febbraio 2004, n. 40 limita alle coppie di sesso diverso la possibilità di accedere alla procreazione medicalmente assistita, prevedendo sanzioni amministrative in caso di ricorso alle relative pratiche da parte di coppie composte da soggetti dello stesso sesso e sanzioni penali per chi in qualsiasi forma realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o embrioni, mentre la legge 20 maggio 2016, n. 76 esclude l’applicabilità alle unioni civili delle disposizioni della legge 4 maggio 1983, n. 184), la Corte di Trento aveva, tuttavia, ritenuto che ciò non costituisse un ostacolo al riconoscimento dell’efficacia nell’ordinamento interno del provvedimento canadese che aveva accertato il rapporto di filiazione tra il ricorrente e il minore generato attraverso la maternità surrogata.
Ed in vero, le conseguenze della violazione dei divieti posti dalla legge n. 40 del 2004 non possono ricadere su chi è nato, il quale ha il diritto fondamentale alla conservazione dello status filiationis legittimamente acquisito all’estero, non rappresentando un ostacolo l’insussistenza di un legame genetico tra i minori ed il genitore, dal momento che nel nostro ordinamento non esiste un modello di genitorialità fondato esclusivamente sul legame biologico tra il genitore ed il nato.
Del resto, nel nostro ordinamento assume primaria importanza il concetto di responsabilità genitoriale, che si manifesta nella consapevole decisione di allevare ed accudire il nato, a prescindere dall’esistenza di un legame biologico.

La pronuncia delle Sezioni Unite

Sulla vicenda si sono di recente pronunciate le Sezioni Unite (n. 12193/2019), le quali hanno rigettato la domanda di riconoscimento dell’efficacia del provvedimento del giudice straniero- affermando il seguente principio di diritto:
«In tema di riconoscimento dell’efficacia del provvedimento giurisdizionale straniero, la compatibilità con l’ordine pubblico, richiesta dagli artt. 64 e ss. della legge n. 218 del 1995, dev’essere valutata alla stregua non solo dei principi fondamentali della nostra Costituzione e di quelli consacrati nelle fonti internazionali e sovranazionali, ma anche del modo in cui gli stessi si sono incarnati nella disciplina ordinaria dei singoli istituti, nonché dell’interpretazione fornitane dalla giurisprudenza costituzionale ed ordinaria, la cui opera di sintesi e ricomposizione dà forma a quel diritto vivente dal quale non può prescindersi nella ricostruzione delle nozione di ordine pubblico, quale insieme dei valori fondanti dell’ordinamento in un determinato momento storico».
La fattispecie oggetto di giudizio rientra a pieno titolo tra le ipotesi di cd. maternità surrogata, caratterizzandosi proprio per l’accordo intervenuto con una donna estranea alla coppia genitoriale, che ha provveduto alla gestazione ed al parto, rinunciando tuttavia ad ogni diritto nei confronti dei nati.

La giurisprudenza in materia di maternità surrogata

La vicenda è assimilabile a quella presa in considerazione da una più risalente sentenza, con cui la Suprema Corte, nel pronunciare in ordine allo stato di adottabilità di un minore nato all’estero mediante il ricorso alla predetta pratica, aveva ritenuto contrastante con l’ordine pubblico il riconoscimento dell’efficacia dell’atto di nascita formato all’estero, in cui erano indicati come genitori due coniugi italiani, i quali si erano avvalsi della maternità surrogata senza fornire alcun apporto biologico (cfr. Cass., Sez. I, 11/11/2014, n. 24001).
Nel caso in esame, la corte di Trento ha ritenuto, l’assenza di un legame genetico tra i minori e l’altro partner inidonea ad impedire il riconoscimento del rapporto genitoriale accertato con il provvedimento del Giudice canadese, in virtù dell’affermazione che il modello di genitorialità cui s’ispira il nostro ordinamento non è fondato esclusivamente sul legame biologico tra il genitore ed il nato; così facendo ha negato che il divieto della surrogazione di maternità costituisca un principio di ordine pubblico.
Tale ragionamento – a detta delle Sezioni Unite –  si pone in evidente contrasto con l’attuale orientamento della giurisprudenza di legittimità, che assegna a tale disposizione una funzione essenziale di tutela di interessi costituzionalmente rilevanti, trascurando altresì le indicazioni emergenti dalla giurisprudenza costituzionale.
«La determinazione di avere o meno un figlio, poiché concerne la sfera più intima ed intangibile della persona umana, è incoercibile» e in ogni caso, «il dato della provenienza genetica non costituisce un requisito imprescindibile della famiglia», ciò tuttavia non toglie che «la libertà e la volontarietà dell’atto che consente di diventare genitori e di formare una famiglia non può esplicarsi senza limiti» (cfr. Corte cost., sent. n. 162 del 2014).

Tra questi limiti va indubbiamente annoverato il divieto della surrogazione di maternità.

Per tali ragioni, le Sezioni Unite, non hanno ritenuto condivisibile il ragionamento seguito dalla Corte di merito, nella parte in cui, «ha preteso di sostituire la propria valutazione a quella compiuta in via generale dal legislatore, attribuendo la prevalenza all’interesse dei minori alla conservazione dello status filiationis, nonostante la pacifica insussistenza di un rapporto biologico con il genitore intenzionale».
Neppure è stato ritenuto pertinente il richiamo all’affermazione, contenuta nella sentenza n. 19599 del 2016, secondo cui le conseguenze della violazione delle prescrizioni e dei divieti posti dalla legge n. 40 del 2004, imputabili agli adulti che hanno fatto ricorso ad una pratica fecondativa illegale in Italia, non possono ricadere su chi è nato, il quale ha il diritto fondamentale, che dev’essere tutelato, alla conservazione dello status filiationis legittimamente acquisito all’estero.
«Tale interesse, come si è visto, è destinato ad affievolirsi in caso di ricorso alla surrogazione di maternità, il cui divieto, nell’ottica fatta propria dal Giudice delle leggi, viene a configurarsi come l’anello necessario di congiunzione tra la disciplina della procreazione medicalmente assistita e quella generale della filiazione, segnando il limite oltre il quale cessa di agire il principio di autoresponsabilità fondato sul consenso prestato alla predetta pratica, e torna ad operare il favor veritatis, che giustifica la prevalenza dell’identità genetica e biologica».

Dott.ssa Sabrina Caporale

 
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