Se il medico rifiuta di visitare un paziente – poi morto per aneurisma – cosa rischia? Una recente ordinanza della Cassazione fa il punto in merito

Una interessante ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 21008/2018, ha fatto il punto su una vicenda di presunt colpa medica: se un medico rifiuta di visitare un paziente che poi muore per aneurisma cosa rischia? E soprattutto, può esserci nesso causale?

La vicenda

Nel caso di specie, un medico aveva rifiutato ripetutamente di visitare il paziente convinto che avesse il mal di testa. La Cassazione lo ha comunque assolto perché la tempestiva visita domiciliare non avrebbe assicurato la sopravvivenza del paziente. Per il CTU, infatti, se un medico rifiuta di visitare un paziente – che poi muore per aneurisma – le probabilità di diagnosticare lo stesso sarebbero state non più del 60%. Non solo.

Anche se diagnosticato, il trattamento chirurgico per rimuoverlo sarebbe stato difficoltoso, se non impossibile. Il decesso, di conseguenza, non è imputabile al comportamento del medico.

Pertanto, non vi è – per la Cassazione – nesso causale.

A confermarlo, dopo la pronuncia della Corte d’Appello, è la Cassazione con l’Ordinanza in commento.

Nel caso in esame un paziente trentenne accusava forte mal di testa, dolori al collo e fotofobia, nonostante le ripetute richieste della madre del ragazzo. Per il medico il quadro sintomatologico era quello di un comune mal di testa.

Per tale ragione aveva prescritto aspirina prima e novalgina poi.

A distanza di qualche giorno, però, l’uomo era deceduto per la rottura di un piccolo aneurisma subaracnoideo, come accertato in seguito dall’esame autoptico.

Portato davanti ai giudici, il medico era stato condannato dal Tribunale penale per rifiuto di atti d’ufficio (art. 328 c.p.).

Ciò in quanto era stato accertato il reiterato rifiuto di visita domiciliare.

Il medico però era stato assolto con formula piena dal reato di omicidio colposo, di cui all’art. 589 c.p..

Anche la Corte penale di Appello, cui si erano rivolti il Pubblico ministero, l’imputato e la parte civile, ha dichiarato di non doversi procedere nei confronti del medico per estinzione del reato di rifiuto di atti d’ufficio per intervenuta prescrizione e confermava le restanti conclusioni.

Per quel che concerne il ricorso della parte civile, ai soli effetti dell’art. 576 c.p. e con riferimento alla conferma della sentenza di assoluzione in primo grado dal reato di omicidio colposo, la Corte di Cassazione penale, con sentenza n. 25992/13, ha dichiarato la nullità della sentenza impugnata per la nullità della perizia su cui essa si era fondata, e rinviato, ex art. 622 c.p.p., al giudice civile competente in grado di appello la valutazione dell’eventuale ricorrenza di responsabilità dell’imputato nei confronti della parte civile.

La Corte di Appello ha però rigettato il ricorso che veniva così proposto in Cassazione.

Infine, nella sua sentenza la Cassazione ha richiamato anzitutto la relazione della CTU.

In essa sono stati evidenziati alcuni punti cardine.

In primis, che il decesso era stato causato da una ripresa del sanguinamento il giorno del decesso. Poi che l’aneurisma era di piccole dimensioni e non trattabile.

Infine, che anche se il medico avesse tempestivamente eseguito la visita domiciliare, non avrebbe indirizzato immediatamente a cure specialistiche il paziente.

Questo a fronte di un quadro sintomatologico non immediatamente suggestivo per ESA e facilmente interpretabile per manifestazione di altra tipologia.

Ancora, quand’anche ciò fosse avvenuto, l’esame TC avrebbe forse consentito di apprezzare anche il minimo sanguinamento in atto e avviato il paziente a un esame di angio TC che solo nel 60% dei casi avrebbe individuato la causa del sanguinamento.

Secondo il CTU, poi, pur individuato l’aneurisma sanguinante, non sarebbe stato possibile intervenire sull’origine del sanguinamento.

In conclusione, la visita domiciliare tempestiva del medico avrebbe aumentato le probabilità di diagnosticare l’aneurisma (60% di possibilità). Ma una volta individuato, il trattamento chirurgico per rimuoverlo sarebbe stato difficoltoso, se non impossibile.

Secondo la Cassazione “il ragionamento della Corte di merito non merita censure: ha applicato la regola probatoria che governa la ricostruzione del nesso causale nel processo civile, la quale – secondo la giurisprudenza consolidata di legittimità – è quella della preponderanza dell’evidenza o del più probabile che non”.

Non solo. L’ordinanza spiega un altro aspetto importante in materia di responsabilità sanitaria.

“Atteso che la consulenza tecnica è di norma consulenza percipiente a causa delle conoscenze tecniche specialistiche necessarie, non solo per la comprensione dei fatti, ma per la rilevabilità stessa dei fatti, i quali, anche solo per essere individuati, necessitano di specifiche cognizioni e/o strumentazioni tecniche e che, proprio gli accertamenti in sede di consulenza, offrono al giudice il quadro dei fattori causali entro il quale far operare la regola probatoria della certezza probabilistica per la ricostruzione del nesso causale, ne consegue che, dato che la consulenza ha concluso per la esclusione del nesso causale ragionando in termini ‘del più probabile (che non)’, il giudice ha applicato correttamente il criterio della regolarità causale e della certezza probabilistica là dove ha affermato che la condotta del medico di base non è stata la causa del decesso del paziente”.

In sostanza, secondo la Cassazione “non è possibile reputare che l’inadempimento del medico di base, consistito nelle omesse visite domiciliari, abbia causato la morte del paziente”.

Infatti, risulta “‘più probabile che non’ che la rottura dell’aneurisma ne avrebbe comunque determinato il decesso. In definitiva, non era possibile affermare, in termini di probabilità logica, che in caso di visita tempestiva il paziente avrebbe avuto ragionevoli probabilità di guarigione”.

Quindi per la Cassazione il ricorso va dichiarato inammissibile.

 

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