Per la Cassazione la minaccia volta ad ottenere somme di denaro, anche modeste, integra il reato disciplinato dall’art. 629 del codice penale

“Il delitto di estorsione si realizza a fronte di una minaccia o di una intimidazione volta a ottenere somme in denaro, se pure per entità limitate e nei confronti di soggetti dei quali si presume la dedizione a elargizioni gratuite”. E’ il principio espresso dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 3856/2020.

Il caso esaminato è quello di un uomo condannato in primo grado per i reati di estorsione e tentativo di estorsione. L’uomo era accusato di aver rivolto minacce a due parroci allo scopo di ottenere da ciascuno di loro delle somme di denaro, ricevendo in un caso 50 euro e in un altro 25 euro.

Il Giudice di secondo grado, in riforma della sentenza del Tribunale, aveva riqualificato i fatti come violenza privata continuata, rideterminando la pena. Una decisione, quest’ultima, contestata in Cassazione dal Procuratore generale della Corte di appello.

Nell’impugnare la pronuncia quest’ultimo deduceva l’erronea applicazione dell’art. 629 cod. pen. in materia di estorsione e la contraddittorietà della motivazione.

A suo avviso, infatti, la Corte territoriale, pur dando atto che le condotte poste in essere dall’imputato erano state minacciose, aveva ritenuto che esse non avessero provocato un danno ingiusto alle persone offese, né fossero in tal senso idonee. Circostanza che sarebbe stata negata proprio dalla ricostruzione dei fatti, dai quali si evince come l’intimidazione più volte posta in opera dall’imputato fosse finalizzata a ottenere elargizioni in denaro, e quindi integrasse il delitto di estorsione, in due casi consumata, negli altri rimasta al livello del tentativo.

La Suprema Corte ha ritenuto il ricorso fondato, annullando la pronuncia impugnata con rinvio alla Corte d’appello, in diversa composizione, per un nuovo giudizio.

I Giudici Ermellini hanno infatti ravvisato la mancanza di incertezza in relazione alla materialità della condotta posta in essere dall’imputato. La derubricazione del Collegio di appello si basava sull’assenza di un danno economico, poiché le pretese dell’imputato erano volte a ottenere dai parroci elargizioni qualificate liberali, come solitamente costoro fanno in favore di soggetti bisognosi.

Tale ragionamento, tuttavia, appare manifestamente illogico, in quanto la donazione o l’atto di liberalità avvengono per decisione spontanea di chi eroga la somma a titolo di sostegno, non quando invece segua a una minaccia o a una intimidazione. Inoltre, anche se per importi contenuti, nel caso in questione è configurabile un danno nelle somme consegnate, sottratte a impieghi derivanti dalla discrezionalità di chi le detiene, se pure per scopi benefici. Infine, la Cassazione ha ribadito che la limitata entità di somme o beni ottenuti con violenza o minaccia non esclude il carattere estorsivo della condotta.

La redazione giuridica

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