Modifica assegno divorzile ancora all’attenzione della Suprema Corte (Cass. civ., sez. I, ord., 19 gennaio 2023, n. 1645).

Modifica assegno divorzile e applicazione del diritto vivente.

La Corte di Appello di Bologna respingeva il ricorso proposto dall’ex marito avverso il decreto con cui il Tribunale rigettava la sua richiesta di modifica delle condizioni di divorzio definite nel 2015 e già modificate nel 2016.

La Corte di Bologna evidenziava l’assenza di un peggioramento delle condizioni economiche dell’uomo (oculista di fama internazionale), né di un miglioramento di quelle dell’ex moglie (giornalista).

Per quanto qui di interesse, la Corte territoriale, premesso che la revisione dell’assegno divorzile è possibile solo a fronte di un sopravvenuto mutamento delle «condizioni economico-patrimoniali dell’uno e/o dell’altro coniuge», ha osservato: i) che la situazione reddituale della moglie negli anni successivi al 2015 è rimasta pressoché invariata, tenuto conto che la stessa, pur liberandosi delle esose spese di gestione dell’abitazione familiare, deve farsi carico dei costi di locazione (euro 1.400,00 mensili, comprese le spese condominiali) e delle utenze della nuova sistemazione abitativa, essendo rimasto privo di riscontri l’assunto per cui la stessa avrebbe potuto trovare una soluzione meno costosa; ii) che viceversa la situazione reddituale del marito si è notevolmente incrementata, anche grazie alla quota di utili non tassabili tratti dall’attività del poliambulatorio privato; iii) che gli ulteriori dati relativi alle proprietà immobiliari dei coniugi sono del tutto irrilevanti, essendo stati già ampiamente valutati nell’ambito del giudizio di divorzio.

L’uomo propone ricorso per cassazione dolendosi, per quanto qui di interesse, della violazione dell’art. 5 L. Div. in relazione al mutamento giurisprudenziale relativo all’interpretazione dei criteri di riconoscimento dell’assegno divorzile.

Nello specifico, il ricorrente deduce che poiché, pur avendo la giurisprudenza sempre ritenuto “giustificati motivi” ai sensi della l. divorzio, art. 9, solo i “fatti” nuovi sopravvenuti, occorrerebbe “affermare con chiarezza che, una volta accertato il verificarsi di mutamenti nella situazione di fatto, la valutazione sul permanere o meno di un assegno divorzile a favore dell’ex coniuge, e di quale entità, non possa prescindere da una valutazione del diritto alla luce dei criteri espressi in base all’ultimo orientamento giurisprudenziale a sezioni unite” (Cass. Sez. U, 18287 del 2018), che “ha individuato la motivazione dell’assegno divorzile non più nel mantenimento del tenore di vita, e tantomeno nel riequilibrio economico delle parti, ma nella funzione assistenziale compensativa e perequativa che gli compete”.

La Suprema Corte ritiene la censura fondata.

La ratio della decisione impugnata dall’uomo si fonda sull’impossibilità di individuare nel sopravvenuto mutamento della giurisprudenza di legittimità in tema di assegno divorzile il presupposto dei “giustificati motivi sopravvenuti”, necessario, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 9, comma 1, , per poter ottenere la revisione dell’assegno divorzile.

 Nel fare questa affermazione i Giudici d’appello invocano il precedente di Cass. 1119 del 2020, così massimato: “In tema di revisione dell’assegno divorzile, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 9, il mutamento sopravvenuto delle condizioni patrimoniali delle parti attiene agli elementi di fatto e rappresenta il presupposto necessario che deve essere accertato dal giudice perché possa procedersi al giudizio di revisione dell’assegno, da rendersi, poi, in applicazione dei vigenti principi giurisprudenziali. Ne consegue che consentire l’accesso al rimedio della revisione attribuendo alla formula dei “giustificati motivi” un significato che includa la sopravvenienza di tutti quei motivi che possano far sorgere un interesse ad agire per conseguire la modifica dell’assegno, ricomprendendo tra essi anche una diversa interpretazione delle norme applicabili avallata dal diritto vivente giurisprudenziale, è opzione esegetica non percorribile poiché non considera che la funzione della giurisprudenza è ricognitiva dell’esistenza e del contenuto della “regula iuris”, non già creativa della stessa. (Fattispecie relativa a una domanda di revisione dell’assegno divorzile determinato prima di Cass., Sez. 1, n. 11504 del 2017 e Sez. U, n. 18287 del 2018)”.

Ebbene, tale precedente non è idoneo a sorreggere la decisione impugnata. La suddetta decisione riguarda una fattispecie in cui i Giudici di merito avevano espressamente affermato che le circostanze di fatto allegate “non erano sopravvenute”, e come tali non potevano essere prese in considerazione ai fini dell’invocata revisione, alla luce della “consolidata giurisprudenza di questa Corte” per cui, “in sede di revisione, il Giudice non può procedere ad una nuova ed autonoma valutazione dei presupposti o della entità dell’assegno, sulla base di una diversa ponderazione delle condizioni economiche delle parti già compiuta in sede di sentenza divorzile” (Cass. 787 del 2017 e 11177 del 2019, richiamate a pag. 8 e s.); è dunque questo il presupposto fondamentale su cui si basa la negazione che “il mutamento di natura e funzione dell’assegno divorzile, affermato da questa Corte nella sua massima espressione nomofilattica, costituisca ex se giustificato motivo valutabile ai sensi dell’art. 9 legge divorzio”.

Al contrario, nel vaso in esame è pacifico che la revisione sia stata invocata sulla base di circostanze di fatto sopravvenute (tra cui, in particolare, l’allontanamento della ex coniuge dalla casa familiare a lei assegnata, con tutti gli effetti conseguentemente determinatisi in punto di valutazione comparativa dei costi correlati alla vecchia e nuova sistemazione abitativa), tanto che i Giudici di appello, dopo aver ampiamente motivato sui “miglioramenti della situazione reddituale della moglie negli anni successivi alla sentenza di divorzio”, e sull’incremento del reddito del marito, hanno riservato alle ulteriori circostanze una distinta motivazione, proprio in quanto “già ampiamente valutate nell’ambito del procedimento di divorzio”.

È dunque evidente che la Corte territoriale ha registrato la presenza di circostanze sopravvenute, ed ha proceduto alla loro valutazione, escludendo la sussistenza di giustificati motivi per procedere alla revisione dell’assegno divorzile in ragione della ritenuta “assenza di significative modificazioni della situazione economica delle parti in causa”.

La questione, diversa da quella affrontata in Cass. 1119 del 2020, è quindi se, una volta appurata la sopravvenienza di circostanze “potenzialmente idonee, con riferimento alla fattispecie concreta, a modificare i termini della situazione di fatto e quindi ad alterare l’equilibrio economico esistente tra gli ex coniugi, come accertato al momento della pronuncia di divorzio, e pertanto a giustificare l’introduzione del giudizio di revisione dell’assegno”, è quella se la valutazione della domanda di revisione debba essere condotta alla stregua dei criteri giurisprudenziali vigenti all’epoca del divorzio, ovvero alla stregua del “diritto vivente” al momento della decisione sulla domanda di revisione.

La Suprema Corte ritiene che sia corretta la seconda soluzione.

“La revisione dell’assegno divorzile di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 9 postula l’accertamento di una sopravvenuta modifica delle condizioni economiche degli ex coniugi idonea a mutare il pregresso assetto patrimoniale realizzato con il precedente provvedimento attributivo dell’assegno, secondo una valutazione comparativa delle condizioni suddette di entrambe le parti”, dovendo in quel caso il giudice “verificare se, ed in che misura, le circostanze, sopravvenute e provate dalle parti, abbiano alterato l’equilibrio così raggiunto e adeguare l’importo, o lo stesso obbligo della contribuzione, alla nuova situazione patrimoniale-reddituale accertata” (Cass. 11177 del 2019, 787 del 2017; conf. Cass. 14143 del 2014, 8754 del 2011, 18 del 2011, 10133 del 2007, 9056 del 1999, 8654 del 1998).

Sempre con riguardo al nuovo diritto vivente in materia di assegno divorzile, sottolineano gli Ermellini,  Cass. 1119 del 2020 precisa che gli orientamenti del Giudice della nomofilachia non sono assimilabili allo ius superveniens e non soggiacciono al principio di irretroattività, ma hanno carattere retroattivo, “in forza della natura formalmente dichiarativa degli enunciati giurisprudenziali”, cessando di esserlo solo quando “si verta in materia di mutamento della giurisprudenza di legittimità su norme regolatrici del processo” (cd. Prospective overruling: v. Cass. Sez. U, 4135/2019) “e non anche, come nella specie, su disposizioni di natura sostanziale”.

Viene, pertanto, affermato il seguente principio di diritto:

“In tema di revisione dell’assegno divorzile, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 9, una volta accertata, in fatto, la sopravvenienza di circostanze potenzialmente idonee, con riferimento alla fattispecie concreta, ad alterare l’assetto economico stabilito tra gli ex coniugi al momento della pronuncia sulle condizioni del divorzio, quale presupposto necessario per l’instaurazione del giudizio di revisione dell’assegno, il giudice deve procedere alla valutazione, in diritto, dei “giustificati motivi” che ne consentono la revisione sulla base del “diritto vivente”, tenendo conto della interpretazione giurisprudenziale delle norme applicabili corrente al momento della decisione”.

Il decreto impugnato viene casato in accoglimento del motivo, con assorbimento dei restanti quattro, e la causa viene rimessa alla Corte d’appello di Bologna, per nuova valutazione alla luce dell’enunciato principio di diritto.

Avv. Emanuela Foligno

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